Zermatt Music Festival & Academy, 14-17 settembre
Giunto alla ventesima edizione, lo Zermatt Music Festival & Academy è uno degli appuntamenti più entusiasmanti dell’ultimo scorcio d’estate, grazie a una fusione particolarmente felice di diversi aspetti: la qualità dei grandi artisti coinvolti, il dialogo di questi stessi artisti con le giovani generazioni, il paesaggio pressoché unico al mondo – con il versante più scenografico del Cervino che fa da sublime sfondo visivo a molti concerti. Come sottolinea il direttore artistico Patrick Peikert, musicista vulcanico e raffinato che è anche il patron dell’eccellente etichetta discografica Claves, un elemento cruciale del festival è la ricerca di luoghi che siano acusticamente ideali e che al contempo garantiscano un’esperienza unica e diversa dal solito: emblematica la chiesetta di Riffelalp, a 2222 metri, da cui si gode una delle più belle viste sull’arco alpino. Come accade sempre più spesso per i festival estivi, vi è una parte di Academy, non però affidata ogni anno a musicisti diversi, ma a una compagine cameristica che da anni garantisce la trasmissione di un’eredità artistico-culturale: lo Sharoun Ensemble Berlin, composto da musicisti dei Berliner Philharmoniker. A loro è affidata sia la costruzione dei programmi con orchestra, composta dai giovani musicisti selezionati e dagli stessi componenti dello Sharoun come prime parti, sia la preparazione di programmi cameristici.
Anche se meno esposto mediaticamente rispetto ad altri festival svizzeri, il festival di Zermatt si pone come un laboratorio di estremo interesse anche per la ricerca di nuovo pubblico: se un 30% circa è composto dal pubblico locale (per il quale il festival è la principale attrattiva di musica classica dell’intero anno) e un 40% proviene dalla Svizzera romanda e dall’ambito austro-tedesco, il restante 30% è composto da turisti di montagna captati sul posto, che in certi casi assistono per la prima volta a un concerto di musica classica. Questa fusione di pubblico porta a un’atmosfera di confronto particolarmente rilassata, in cui il piacere dello stupore e della scoperta accresce l’esperienza estetica.
Appena arrivato a Zermatt con il trenino che si incunea nella valle collegandola a Visp, il 14 settembre, mi sono imbattuto in una delle tante Matterhorn Serenade che si svolgono nel cuore del villaggio, con una vista mozzafiato sul Cervino: la Musikgesellschaft Matterhorn Zermatt, diretta da Klaus Zahn, ha suonato brani tradizionali della regione con gagliarda vitalità (notevole la sezione degli ottoni). La sera, nella Pfarrkirche St. Mauritius, la chiesa principale, i giovani della Zermatt Festival Orchestra, guidati dal Konzertmeister Wolfram Brandl, hanno dato una lettura stilisticamente informata del Terzo Concerto Brandeburghese di Bach: tempi agili, coscienza dei fraseggi barocchi, ma anche una sonorità rigogliosa, che rifuggiva da certe eccessive secchezze che nuocciono a questo repertorio. Il concerto è proseguito con l’Histoire du Soldat di Stravinskij, omaggio alla lunga e importante residenza in Svizzera del compositore russo: sebbene l’esecuzione fosse di altissimo livello, la pur mesmerica recitazione di Martina Gedeck in tedesco è arrivata solo a una parte del pubblico, a causa dell’ostacolo della lingua.
Fra i concerti di punta, vi era sicuramente quello della grande pianista georgiana naturalizzata austriaca Elisabeth Leonskaja, con i membri dello Sharoun Ensemble: di mattina, nella chiesetta in quota di Riffelalp, i musicisti hanno patito qualche calo di concentrazione nel Concerto K 414 di Mozart, eseguito comunque con affettuosa profondità. Sublime è stata invece l’interpretazione del Quintetto “Die Forelle” di Schubert, all’altezza della mitica incisione che la Leonskaja ha fatto con il Quartetto Alban Berg (in particolare per il secondo movimento, Andante, perfettamente in simbiosi con il celestiale panorama, e il Tema e variazioni sul Lied che dà il titolo al quintetto – mentre un poco troppo affrettato mi è parso il finale, “Allegro giusto”). Questo concerto è stato replicato il giorno dopo, 16 settembre, alla Fondation Gianadda di Martigny: non soltanto uno straordinario luogo d’arte, nato sulla riscoperta dei reperti gallo-romani e poi divenuto punto di riferimento per le mostre grazie a Pierre e Léonard Gianadda, ma anche sede di un’importante stagione concertistica. La Leonskaja e lo Scharoun Ensemble hanno dato una lettura più compiuta e concentrata del Concerto di Mozart. Nella pianista georgiana, in particolare, si ammira la serenità e il respiro del fraseggio – in linea con il sorriso sempre presente sul suo volto al momento di ringraziare il pubblico – e l’assenza totale di quegli atteggiamenti narcisisti o superomistici ampiamente diffusi nella fauna pianistica. Questa grande e sensibile interprete del repertorio mitteleuropeo è comunque ancora capace di quelle sonorità energiche e di quel pathos drammatico che le hanno permesso di suonare a due pianoforti con un colosso come Svjatoslav Richter senza sfigurare affatto.
Il concerto più sorprendente è però stato quello della violista bulgara Izabel Markova e della pianista italiana (ma di stanza a Lausanne) Irene Puccia, sempre a Riffelalp, il 15 settembre. Impegnate in un repertorio a prima vista piuttosto “reservato” e di nicchia – il ‘900 inglese di Rebecca Clarke (Sonata per viola e pianoforte), Benjamin Britten (Lachrymae) e York Bowen (Fantasie) –, le due giovani musiciste non soltanto hanno mostrato un virtuosismo stupefacente (anche in termini di intonazione e di qualità del suono), ma hanno anche condotto il dialogo cameristico con un’intesa, una naturalezza e una generosità comunicativa entusiasmanti. Particolarmente pregnante è stato il passaggio dalle sonorità tardoromantiche e post-debussiane della Sonata di Rebecca Clarke (suonata oggi anche da molti violisti italiani – fra i primi lo scaligero Giuseppe Russo Rossi, poi Leonardo Taio, Jamiang Santi, Vittorio Benaglia – che l’ha anche incisa – e diversi altri) all’asciuttezza neo-rinascimentale del capolavoro britteniano.
Luca Ciammarughi