Musiche di Paganini, Tarrega, Castelnuovo-Tedesco, Piazzolla, violino Giuseppe Gibboni chitarra Carlotta Dalia
Roma, Accademia Filarmonica Romana, Teatro Argentina, 23 febbraio 2023
Un concerto con due protagonisti che insieme non arrivano a cinquant’anni non è frequente. E non è frequente, in specie, che sfugga totalmente ad un ambito di sperimentazione giovanile, per inserirsi a tutto diritto non solo nella corrente Stagione della Filarmonica tra il Quartetto Prometeo e Mischa Maisky, ma tra i concerti da camera più attesi dell’anno. Gibboni era già venuto a Roma, per il blitz fulmineo della sostituzione di Veronica Eberle, a Santa Cecilia, con Lorenzo Viotti sul podio — il 4 novembre 2021, quindi a pochi giorni dalla vincita al Concorso Paganini — per un Concerto di Ciaikovski il cui successo non era stato discutibile. Ora il programma per violino e chitarra messo in valigia da Gibboni e dalla Dalia ha destato ancora interesse, per l’accostamento raro dei due strumenti. Raro, ma certo non privo d’uso e di fascino: negli anni Ottanta, per le Settimane dei Beni Musicali, avevamo convinto Renato de Barbieri e Mario Gangi ad eseguire in concerto le Variazioni sul Barucabà di Paganini (da loro già incise per la RCA): e gli esiti erano stati memorabili. Anche il programma ascoltato all’Argentina iniziava nel nome di Paganini — che proprio qui più volte s’era prodotto nelle sue magiche accademie — ed era la Sonata Concertata in la maggiore op. 61. Opera ritrovata dallo stesso de Barbieri nella Biblioteca del Conservatorio di Genova e improntata ad una elegante serenità, con movenze di galanteria e di affettuosa intimità, assecondando uno stile di piacevole classicismo, eppur di continua e spesso maliziosa fantasia. L’esecuzione di Gibboni e della Dalia si è distinta per la calzante contrapposizione fra la delicatezza femminile della chitarra e il piglio virile e guascone del violino. Esemplari entrambi, in verità. Gibboni ha poi eseguito tre Capricci del sommo Genovese: il n. 1 in mi maggiore, il n. 5 in la minore, il n. 24 in la minore. Rivelatori spietati di qualsiasi vera vocazione paganiniana. Che ci è parsa qui non solo autentica, ma temperamentosa e originale. A costo di forzare qualche contrasto, di non curarsi troppo d’un suono omogeneo, d’accentuare in modo brusco i fraseggi, Gibboni ha evocato un Paganini energico, spesso drammatico, talora violento, al segno da confermare che di tali sublimi Capricci i precedenti ideali possono ben essere i Caprichos di Francisco Goya. Cui si riferiva esplicitamente il Capriccio n. 18 di Mario Castelnuovo Tedesco, eseguito dopo il Capricho arabe di Francisco Tarrega dalla sola Carlotta Dalia. Alla musicista toscana non si possono negar certo una bella tornitura di suono e un’aderenza costante al dettato musicale; ma anche uno scarso mordente emozionale, una qual acerba timidezza che l’hanno indotta come a proceder guardinga ove forse s’è abituati a sentir vibrazioni più ampie e più accaldate. Ciò che è apparso un piccolo limite anche nelle tre pagine da Histoire du Tango di Astor Piazzolla, proposte da parte d’entrambi formalmente benissimo, ma un po’ troppo “civilmente”, senza quel tocco di canaille che qui sarebbe ben più che opportuno.
La versione per violino e chitarra (approntata da Gibboni e dalla Dalia) della paganiniana Campanella ha chiuso il concerto con fuochi d’artificio di luminosità e disegno eccezionali. Applausi e bis a volontà.
Maurizio Modugno