Musica insieme, per sempre: Dutoit e la Argerich a Ferrara

Foto: Marco Caselli Nirmal / Ferrara Musica

RAVEL Le tombeau de Couperin; Concerto in SOL per pianoforte e orchestra MUSORGSKIJ-RAVEL Quadri di un’esposizione pianoforte Martha Argerich Orchestra Filarmonica di Montecarlo, direttore Charles Dutoit

Ferrara, Teatro Comunale Claudio Abbado, 12 febbraio 2025

Ascoltare ancora una volta a Ferrara la grande Marthita è un’emozione che sempre si rinnova, andando ai molti ricordi di esecuzioni memorabili a fianco di Claudio Abbado, che elesse la città estense a culla del suo lavoro e di tanti progetti musicali. Gli anni sono passati, Claudio non c’è più, ma la sua presenza incombe ancora, elegante e amorevole. Martha si è fatta più fragile nel fisico, il passo un po’ barcollante, l’immancabile chioma fluente è diventata più canuta. Alla soglia degli 84 anni, però, la pianista argentina è ancora indomita: si siede al pianoforte, apparentemente spaesata, guardandosi intorno, sbuffando per il sedile che non le va a genio. L’orchestra attacca ed è subito un fiume in piena: di idee, di energia, di commovente dedizione all’arte. Certo, il Concerto in sol di Maurice Ravel lo suona da quasi sessant’anni e la sua è una delle interpretazioni di riferimento. Ne conosce ogni piega, ogni respiro, potrebbe suonarlo bendata. Però che magia: il suono si è fatto più contenuto – o così l’ha voluto per la serata ferrarese, che riproponeva lo stesso programma del concerto di qualche giorno prima a Torino (confronta la recensione di Marco Testa) – lo scatto è sempre felino. Un incanto il gioco di polso, gli avambracci sollevati con eleganza e con baldanzosa energia, il girarsi a guardare gli strumenti che via via intervengono, quasi a cercare una complicità cameristica. Si capisce perché da anni abbia scelto di non esibirsi da sola: è nell’insieme che la Argerich considera pienamente raggiunto il risultato, nella solidarietà artistica e nel calore umano. Anche se poi, quando sciorina i due bis – questa volta da sola – si rimpiange un po’ quanto ci si è persi per questa decisione, a quali repertori avrebbe potuto dare il suo magnifico ed estroso contributo.

Ma non le si può certo imputare mancanza di generosità. Instancabile, suona ovunque, di qua e di là dell’oceano, in estremo oriente e in Europa, senza risparmiarsi. Confermando il suo amore grande per la musica e per il suo strumento. Un amore totalizzante, su cui si getta ogni volta senza mai mostrare stanchezza. Come per gli altri amori della sua vita: relazioni intense, di breve divorante passionalità, col compositore e direttore d’orchestra Robert Chen, col pianista Stephen Kovacevich, col direttore svizzero Charles Dutoit. Solo quattro anni con quest’ultimo, la nascita di una figlia, ma un rapporto artistico che non è mai cessato. Un legame di affetto e reciproca stima che si è materializzato nuovamente nel concerto ferrarese. Un bacio sul palcoscenico a fine concerto, il direttore che appoggiato al pianoforte ascolta incantato i due bis concessi dall’estrosa argentina. Chissà quali pensieri nella sua mente mentre risuonava la “Gavotta” dalla Suite inglese n. 3 di Bach, resa con sonorità perlacee, e il Traumes Wirren dai Phantasiestücke op. 12, affrontato con quell’irruenza così tipica di questa artista, che sembra non arrendersi all’età.

Tornando al Concerto di Ravel, se ne è ammirata l’estrosità del fraseggio con cui la Argerich tornisce le frasi che sembrano arrivare direttamente da Broadway, mentre i fiati – quelli, invero, non immacolati dell’Orchestra Filarmonica di Montecarlo – suonano come fossero una Big Band di jazz. Ma poi il pianoforte attacca l’“Adagio assai” e siamo in un altro mondo, con quel tema lunghissimo eseguito dal pianoforte solo. Argerich commuove per l’intensità con cui varia le dinamiche, cerca colori, screzia la melodia con lievi rubati e trattenuti. Un’intensità che in un baleno si stempera nel frenetico “perpetuum mobile” del “Presto” finale, dove la pianista si scatena senza tema del rischio.

In apertura di concerto Dutoit, anch’egli freschissimo giovanotto ottantottenne – i miracoli della musica… – in questa serata omaggio ai 150 anni dalla nascita di Ravel, ha diretto le trame neoclassiche dei quattro movimenti de Le tombeau de Couperin. Esecuzione, c’è da dire, assai routinier, con l’orchestra sfilacciata e tendenzialmente fredda. Meglio negli sgargianti colori dei Quadri di un’esposizione dove in particolare i fiati hanno avuto agio di rifarsi. Esecuzione che Dutoit giustamente ha proiettato interamente nell’alveo francese, risolvendo con eleganza ogni residua durezza dell’originale mussorgskiano. Ci si aspettava di più, invero, dall’orchestra monegasca, apparsa invece un po’ stanca e poco compatta. Ma anche così è stato un concerto che si ricorderà, prima di ogni altra cosa per i guizzi dell’indomita Marthita.

Stefano Pagliantini

Data di pubblicazione: 17 Febbraio 2025

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