VERDI Nabucco D. Cecconi, A. Scotto Di Luzio, N. Ulivieri, R. Lokar, I. Savignano, A. Tabili, A. Granata, L. Morassi; Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore György Győriványi Ráth regia Mariano Bauduin scene e luci Lucio Diana costumi Stefania Cempini
Ancona, Teatro delle Muse “Franco Corelli”, 27 ottobre 2024
L’aspetto più intrigante del Nabucco verdiano con cui si è inaugurata la Stagione 2024 del Teatro delle Muse ‘Franco Corelli’ di Ancona è nella direzione di György Győriványi Ráth: dai tempi elastici ma senza corse a perdifiato o momenti di stanchezza alternati senza costrutto; sacrale ma percorso come da fremiti nervosi; sempre al sostegno del canto senza mai esserne dipendente ma, piuttosto, innervando gli accompagnamenti di notevole intensità. Non sarà stato un Nabucco nuovo o un qualcosa di mai sentito prima, ma di sicuro è stato un bel Nabucco, diretto con grande mestiere senza che l’esperienza del direttore si traducesse in stanca routine, anzi, al contrario, la solidità della lettura musicale ha dato grande unità alla lettura del capolavoro verdiano, peraltro proposto integralmente con tutte le ripetizioni delle cabalette. Nella sua interpretazione György Győriványi Ráth è stato ovviamente ben coadiuvato sia dal Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” che dalla FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana. Una sacralità simile a quella del podio, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto innervare anche l’allestimento con regia di Mariano Bauduin, almeno stando a quanto si legge nelle suggestive e interessanti note di regia, in cui si richiamano le origini oratoriali della vicenda (nemmeno troppo velatamente ispirata alla tradizione dell’opera quaresimale napoletana) e si mescolano le carte con riferimenti alla spiritualità e alla teatralità orientale: ma sia per la necessità di doversi adattare a mezzi di produzione non onnipotenti, sia per la sfortuna che ci ha messo del suo con un cambio di compagnia all’ultimo momento, lo spettacolo è sembrato in realtà semplicemente troppo statico, anche nel movimenti delle masse, pur mantenendo una sobria eleganza di fondo, gradevole da vedere. Il cambio di compagnia di cui si diceva ha riguardato il protagonista: colto alla prima da una fastidiosa laringite, Ernesto Petti ha dovuto rinunciare alla replica, sostituito in corsa da Devid Cecconi che ha colto un buon successo personale non solo per il rispetto e la gratitudine che si devono a chi comunque garantisce la recita, ma soprattutto per la solidità di un canto e di una preparazione che gli hanno consentito di calarsi con disinvoltura in un ruolo tutt’altro che semplice. Al suo fianco Rebeka Lokar ha affrontato le asperità del ruolo di Abigaille con slancio, piegando una voce di timbro non squisito (con vibranti risonanze metalliche nell’acuto di forza) a sfumature di notevole efficacia e, in generale, risultando molto più convincente nei brani di ripiegamento interiore piuttosto che in quelli di rude spiegamento di decibel, contrariamente a quanto si ascolta di solito in questo ruolo bifronte. A Nicola Ulivieri la tessitura di Zaccaria sta un po’ larga, soprattutto in acuto (la ripresa della prima cabaletta e la conclusione della Profezia lo hanno visto un po’ in affanno) ma quando può raccogliere il suono con morbidezza e ispirazione fa valere le qualità di una bella sensibilità artistica: molto bello il suo “Tu sul labbro”, cesellato con ispirazione assieme alla concertazione di Ráth. Bene l’Ismaele di Alessandro Scotto di Luzio, bene l’Anna (ruolo ingrato) di Antonella Granata e nel complesso bene anche la Fenena di Irene Savignano, sebbene la sua voce risulti più limpida e sfogata in acuto (non male la preghiera al IV Atto) e acquisti invece sgradevoli risonanze metalliche e nasali nel registro grave, sintomo di un’emissione un po’ disuguale. Ben scelti, infine, i ruoli minori di Abdallo (Luigi Morassi) e del Gran Sacerdote di Belo (Andrea Tabili). Pubblico nel complesso soddisfatto e plaudente, che al termine della recita ha applaudito con calore tutti gli artefici dello spettacolo.
Gabriele Cesaretti