Era probabilmente dai tempi di Giuseppe Verdi che l’Italia non aveva un musicista professionista in Parlamento: la presenza di Michele Nitti, nato nel 1981 ad Acquaviva delle Fonti, eletto per il M5s alla Camera dei Deputati, al di là delle opinioni politiche di ognuno può dare voce alle istanze ed alle necessità dei musicisti italiani. Diplomato in direzione d’orchestra all’età di 24 anni presso il Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano, nella classe di Daniele Agiman, del quale diviene assistente, Nitti nel 2005 viene nominato “miglior allievo di Direzione d’Orchestra” del Conservatorio di Milano. Lo stesso anno si laurea con 110/110 e Lode in Lettere e Filosofia e, fin da giovane, studia Composizione sotto la guida di Marco Della Sciucca e poi di Roberto Andreoni e Andrea Marena. Si perfeziona in Direzione d’Orchestra con Salvador Mas Conde a Vienna, dove dirige nella prestigiosa Konzerthaus. Si perfeziona altresì con Riccardo Muti presso la Mediterranean Music Academy di Malta ed in seguito con Donato Renzetti. Gabriele Ferro lo ammette al prestigioso corso annuale di alto perfezionamento rivolto a quattro Giovani Direttori d’Europa presso l’Accademia di Musica di Fiesole, sede dell’Orchestra Giovanile Italiana. Oltre all’intensa attività concertistica, attualmente ricopre la Cattedra di Esercitazioni Orchestrali presso il Conservatorio di Musica “Schipa” di Lecce.
A lui abbiamo rivolto alcune domande in merito alla sua attività parlamentare e alle proposte di legge presentate.
Come è arrivato alla scelta di studiare musica? Aveva esempi in famiglia?
Non ho racconti suggestivi o leggendari da narrare. Nessun evento mirabolante: non ero un bambino prodigio, niente orecchio assoluto, non “suono dall’età di tre anni”. La musica, però, ha sempre risuonato tra le pareti domestiche e in famiglia la sensibilità verso quest’arte era molto alta; sempre a livello amatoriale però, mai professionale. Tutto è iniziato con grande semplicità, quasi per caso, con naturalezza, accodandomi, come tanti bambini, dietro le bande durante le feste di paese, o vedendo mio nonno coltivare i campi con il sottofondo dei cori verdiani in audiocassetta, o ascoltando mio padre suonare la chitarra e il pianoforte con i suoi amici.
Quali figure sono state più importanti nel suo cursus studiorum?
Sono stato molto fortunato: tutti i miei insegnanti hanno contribuito, in modo diverso, alla mia formazione artistica: dal primo incontro con il Maestro Silvestro Sasso, che intuì in pochi istanti le mie potenzialità, fino a Daniele Agiman con cui ho terminato i miei studi di Direzione d’Orchestra presso il Conservatorio Verdi di Milano. È stato un lungo percorso di crescita, ininterrotto, che mi piace considerare non ancora concluso.
Nel suo curriculum leggo di importanti esperienze formative con Renzetti e Muti: cosa ha imparato da ognuno di loro? Renzetti è noto per essere uno dei migliori “educatori” di direttori d’orchestra di oggi…
Le prime lezioni di Renzetti e Muti le ho ricevute suonando in orchestra sotto la loro direzione. Ho potuto poi perfezionarmi con loro al termine dei miei studi a Milano. Ha ragione, Renzetti è un grande didatta, probabilmente il principale alfiere della scuola italiana di direzione d’orchestra degli ultimi decenni. Di Muti mi ha colpito la profonda capacità persuasiva: anche quando non l’avrei mai immaginato, finivo per convincermi della bontà e della correttezza delle sue idee musicali. Da loro credo di aver appreso l’importanza di sapere ciò che si vuole e sapere come ottenerlo; in merito al volere ciò che è giusto (per concludere la citazione di Serafin), preferisco non esprimermi, è un argomento troppo spinoso.
Ha lavorato con importanti solisti (da Manara alla Dego, dalla Siri alla Campaner): quali sono le premesse fondamentali perché funzioni il rapporto artistico?
Non imporsi. Ma tutt’al più persuadere, come dicevo, e lasciarsi persuadere. Talvolta le soluzioni migliori sono differenti da quelle che immaginavamo e nascano dalla condivisione. Il rispetto reciproco credo sia la base per lavorare insieme. Forse dovremmo essere in grado di cambiare ciò che è possibile cambiare, accettare ciò che non è possibile cambiare, ma soprattutto avere l’intelligenza di saper distinguere i due casi, come suggeriva Thomas More.
Quali sono le eccellenze e le carenze più evidenti del sistema formativo italiano in ambito musicale?
Oggi paghiamo ancora lo scotto dell’insana decisione di De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione del primo parlamento italiano del 1861, di escludere la musica (insieme al ricamo!) dal percorso formativo di base della scuola italiana con la risibile argomentazione che si trattava di un’arte donnesca. A questa sciagurata lacuna si aggiunge la perdurante crisi del sistema della filiera musicale: l’educazione musicale non è presente in modo strutturale nella scuola primaria, nelle medie ad indirizzo musicale è possibile attivare solo 4 corsi (spesso i più generalisti, per fare incetta di studenti), il numero dei Licei musicali su tutto il territorio nazionale è vergognosamente insufficiente, l’alta formazione musicale (Afam) è impantanata nel limbo della L508/99, ancora non del tutto attuata. Il vero punto di forza risiede nella capacità di continuare a coltivare eccellenze nonostante questi grandi punti di debolezza e le evidenti carenze.
Cosa l’ha spinta alla scelta di impegnarsi politicamente?
Una telefonata inaspettata in cui si chiedeva di mettermi a disposizione del Paese in virtù del mio specifico profilo professionale e formativo, offrendomi la possibilità di occuparmi di cultura e arte come esponente di quell’ambito della società civile. La vita è spesso condizionata da momenti che si presentano senza che li si siano mai cercati: così ho deciso di accettare, perché poi non mi ritrovassi a dover rimpiangere di aver respinto questa opportunità.
Viene fatta spesso la similitudine fra l’organizzazione dell’orchestra e il sistema democratico: è d’accordo?
In generale i valori dell’arte, quelli della musica in particolare, e dell’orchestra ancor più nello specifico, non sono poi così distanti da quelli della democrazia e, se vogliamo, della politica: il legame tra arte e cittadinanza rinviene addirittura dalla cultura alessandrina. Le prerogative per il buon funzionamento di un’orchestra sono la capacità di ascolto, il dialogo fra le parti, il principio dell’alternanza, la capacità di tendere ad un fine ultimo che è l’armonia (una sorta di bene comune). Cos’è tutto questo se non la “democrazia”?
Ha presentato due proposte di legge, la prima volta a introdurre l’insegnamento della storia della musica nella scuola superiore, l’altra per finanziare la digitalizzazione delle tesi di laurea degli studenti iscritti ai corsi di studio di secondo livello presso gli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica, sì da favorirne la diffusione. Le chiedo, ora: la prima proposta non è nuova, e risponde ad una necessità di buonsenso anzitutto. Perché non si riesce a metterla in pratica? Sussistono ancora le vecchie diffidenze di stampo crociano o c’è altro?
Ad oggi, le uniche obiezioni alla mia proposta di legge sono arrivate da musicisti. Siamo una categoria litigiosa. È inutile nasconderlo. È esplosa l’annosa conflittualità tra prassi e teoria, esecutori e musicologi. Io confido che si comprenda l’assoluta e improcrastinabile necessità che la musica, attraverso la sua analisi storica e l’ascolto, venga riconosciuta come disciplina fondamentale (e non necessariamente professionalizzante) per la formazione della persona, senza che ciò impedisca o freni la diffusione della pratica musicale in ogni ordine e grado scolastico. Muti, nel lontano ’95 scriveva: “penso che la musica dovrebbe diventare materia d’obbligo in tutte le scuole italiane, anche nelle Medie superiori (…) Ma non tanto la musica intesa come prassi esecutiva, intendo proprio la Storia della Musica, la materia che consenta di avvicinarsi e capire il fenomeno musicale”. Il fatto che dalla proposta Mantelli del ’64 ad oggi, e nonostante così prestigiosi appelli, non si sia riusciti a finalizzare questo obiettivo, credo dipenda dalla pressoché totale assenza di figure di musicisti professionisti dal parlamento italiano: come si evince dagli annuari della Camera dei Deputati un direttore d’orchestra professionista mancava dagli scranni dai tempi di Giuseppe Verdi. Ciò testimonia la difficoltà della musica di essere rappresentata nei gangli vitali della nostra vita politico-legislativa.
Che speranze concrete ci sono nel vedere attuato questo progetto di legge?
Molti parlamentari hanno mostrato sensibilità al tema, ma non basta. Non è sufficiente depositare un testo di legge, come più volte in passato è stato fatto, o scrivere un articolo di giornale, o lanciare un appello. I provvedimenti hanno bisogno di essere seguiti, supportati, caldeggiati politicamente, con dibattiti, convegni, momenti di studio e confronto. Non è affatto semplice né scontato. Continuerò a fare il possibile perché possa essere quanto prima calendarizzata questa proposta di legge.
Quali risultati ha finora conseguito, e cosa spera di ottenere entro il termine della legislatura?
Come titolare della Commissione Cultura lavoro su due fronti ministeriali, il Mibac e Miur. Ho seguito il cosiddetto DL Cultura per la parte relativa alle Fondazioni Lirico-Sinfoniche , ho presentato un odg (poi approvato in legge di Bilancio) per la candidatura dell’Opera Lirica a patrimonio immateriale UNESCO, sto seguendo con la collega Carbonaro l’indagine conoscitiva su lavoro e previdenza nel mondo dello spettacolo che culminerà con la presentazione di un disegno di legge ; ora attendiamo il c.d. Codice dello spettacolo in cui cercheremo di risolvere le criticità legate ai criteri di riparto del FUS, alle commissioni consultive, ai criteri di nomina dei sovrintendenti. Sul fronte MIUR, invece, nella scorsa legge di bilancio abbiamo approvato un emendamento per lo stanziamento di 500.000€ per la disabilità nell’Afam. La scorsa settimana è stata approvata la mia risoluzione di Commissione sul potenziamento e valorizzazione delle biblioteche e archivi dei Conservatori di Musica. Il vero obiettivo sarà mettere in sicurezza il comparto Afam e farlo uscire dal limbo della 508.
Come concilia i suoi impegni artistici con quelli politici?
Fra mille difficoltà riesco mediamente a dirigere un concerto mese. Tornerò nella società civile da cui provengo, tornerò a vivere pienamente la mia professione e non voglio farmi trovare impreparato.
Nicola Cattò