PORPORA L’Angelica T. Iervolino, P.V. Molinari, E. Bakanova, G. Petrone, S. Foresti, B. Massaro; La Lira di Orfeo, direttore Federico Maria Sardelli regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
HAYDN La Creazione R. Cid, V. Solodkyy, A. Arduini, J. Antem, S. Sanza; Coro Ghislieri, Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, direttore Fabio Luisi regia Fabio Ceresa scene Tiziano Santi costumi Gianluca Falaschi e Gianmaria Sposito
SCARLATTI Griselda R. Pe, C. Remigio, F. Ascioti, M. Battistelli, K. Adam, M. Albano, C. Buonfrate; Coro Ghislieri, La Lira di Orfeo, direttore George Petrou regia Rosetta Cucchi scene Tiziano Santi costumi Claudia Pernigotti
CONCERTO DI BELCANTO (arie e sinfonie di Rossini, Thomas, Gounod, Massenet, Donizetti, Bellini, Verdi, Gimenez, Barbieri, Chapí) soprano Lisette Oropesa Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, direttore Corrado Rovaris
Martina Franca, Palazzo Ducale, dal 30 luglio al 2 agosto 2021
Trecento: tanti sono gli anni che separano questo anomalo biennio pandemico dall’epoca di composizione delle due opere rappresentate al 47° Festival della Valle d’Itria: L’Angelica di Nicola Porpora (Napoli, settembre 1720) e Griselda di Alessandro Scarlatti (Roma, Carnevale 1721). Nonostante i pochi mesi che le dividono, le due partiture presentano marcate differenze estetiche, e ciò non deve stupire se si pensa che i loro autori appartengono a due generazioni diverse, ed erano il primo in una fase ancora relativamente giovanile della carriera, il secondo giunto all’ultimo titolo operistico del proprio catalogo. E, parallelamente, gli autori dei versi sono nel primo caso un Metastasio praticamente agli esordi, nel secondo un Apostolo Zeno rimaneggiato. Così, Griselda risulta legata alla poetica della meraviglia e dell’artificio del barocco secentesco, che si manifesta in una scrittura impervia e a tratti sorprendente, nella quale le arie scaturiscono come naturale compimento delle scene di recitativo; mentre L’Angelica, tutta proiettata verso l’astrazione degli affetti del melodramma metastasiano, si coccola in una levità rococò già pienamente settecentesca. A entrambe le opere è stata riservata un’esecuzione “storicamente informata” affidata all’ensemble «La Lira di Orfeo», che ha risposto con maggiore brillantezza alla direzione di Federico Maria Sardelli (Porpora) che a quella, pur corretta di George Petrou (Scarlatti). A Sardelli, infatti, nulla sfugge, come dimostrano la spazialità del suono, la precisione dei fiati, la magnifica aria con violoncello concertante. Quanto alla completezza esecutiva, dall’Angelica è stata amputata soltanto la licenza encomiastica conclusiva (incomprensibilmente, peraltro, dato che si tratta di un elemento peculiare del genere della serenata, cui la partitura appartiene), mentre più profondi sono stati i tagli praticati a Griselda.
Due regie molto diverse sono state accomunate dalla perspicuità del lavoro sui personaggi ‒ dei quali sono stati messi a fuoco la psicologia e gli affetti in perfetto accordo con quanto le partiture suggeriscono ‒, e dalla dispersione di energie in una serie di elementi di contorno (l’andirivieni di figuranti nell’Angelica, il terzo atto affidato alla recitazione dei doppi in Griselda) che finivano per distrarre gli spettatori anziché arricchire la lettura: se fossero state più essenziali, sarebbero risultate più efficaci. Anche perché, entrambe, facevano perno su un convincente tentativo di attualizzazione: Gianluca Falaschi ha collocato la vicenda ariostesca di Porpora in un ambiente kitsch contemporaneo, Rosetta Cucchi ha spostato la trama boccacciana di Scarlatti nella Sicilia dagli usi ancestrali di circa un secolo fa, mostrando la perenne attualità del tema della violenza di genere.
Gli affetti tratteggiati dai compositori hanno trovato forma e vita nelle ugole dei solisti, tra i quali raramente si riscontra tanta omogeneità di pregio come in occasione di questa edizione del festival martinese. Ma, tra il bene, non si può tralasciare di mettere in luce il meglio. Nell’Angelica si sono distinti gli en travesti di Teresa Iervolino e Paola Valentina Molinari. La prima, ha dato di Orlando un’interpretazione profondamente umana, alla ricerca delle sfumature psicologiche di una follia nient’affatto comica, con proprietà di linguaggio e curando il fraseggio di un canto sempre percorso da una opportuna tensione maschile. La seconda ha vestito Medoro di un virtuosismo coinvolgente, fatto di brillantezza, solidità tecnica (fluidità del legato e canto sul fiato) e spiccate doti interpretative. Griselda è stata dominata dalla protagonista, Carmela Remigio, che negli ultimi anni ha trovato nelle donne tormentate, alla cui sofferenze sa dare voce e vita, i propri cavalli di battaglia. In un ruolo dalla scrittura spesso ardua, la dimensione interiore del personaggio risulta scolpita con lucidità impressionante, nella sgranatura netta delle note, nel peso degli accenti, nella tornitura del fraseggio. Raffaele Pe, in un festival avaro di falsettisti rispetto a quanto avevano abituato le recenti edizioni, si è avvalso della propria scaltrezza tecnica per tratteggiare con finezza le ambiguità di Gualtiero. E non si possono dimenticare le giovani Miriam Battistelli e Miriam Albano che, ben assecondate dalla regia, hanno saputo trasmettere l’entusiasmo e la baldanza adolescenziale di Costanza e Roberto.
Esula dal teatro d’opera in senso stretto La Creazione di Haydn, proposta in forma scenica, nella versione italiana di Dario Del Corno, approntata alcuni decenni fa per il Festival e ora rivista dal figlio Filippo. Una rassegna dedicata alle rarità è bene che si accosti al repertorio più noto con uno sguardo sperimentale, per cui sarebbe improprio, in questo caso, contestare una scelta antifilologica, tanto più che la traduzione, perfettamente intelligibile grazie alla cura posta dagli interpreti alla pronuncia, non è affatto spregevole. E le sapienti mani di Fabio Luisi hanno saputo estrarre il meglio dall’Orchestra del Petruzzelli, dal Coro Ghisleri (la cui collocazione, nelle torri ai lati della scena, ricorda la natura oratoriale della composizione) e dai solisti, tra i quali si è distinto il soprano Rosalia Cid: il suo Gabriele brilla di virtuosismo nell’esaltare il miracolo della creazione e si ammanta di dolcezza quando descrive, con morbida emissione sul fiato, la quiete della natura. Lo spettacolo di Fabio Ceresa si apprezza come gradevole coreografia astratta, senza necessità di comprendere il progetto registico dichiarato sul programma di sala, che contempla la spiazzante decisione di portare in scena la persona di Dio.
Ciliegina sulla torta è il «Recital di belcanto», durante il quale è stato consegnato a Richard Bonynge il premio «Celletti», assegnato a lui e, in memoriam, alla consorte Joan Sutherland. La star Lisette Oropesa ha alternato con sapienza passi di canto fiorito ad altri di canto spianato in ciascuna delle quattro sezioni del programma (Rossini, l’Ottocento francese, l’opera romantica italiana, la zarzuela), confermandosi una delle più complete interpreti del repertorio ottocentesco per soprano lirico. Terminato il festival, si è saputo che questa edizione, dodicesima sotto la direzione artistica di Alberto Triola, è stata l’ultima da lui curata. Gli subentra, nel medesimo ruolo, Sebastian Schwarz.
Marco Leo
Crediti: Clarissa Lapolla