RACHMANINOV Preludi n. 10 e n. 5 Op. 32; Etude-Tableaux n. 3 e n. 1 Op. 39; Sonata n. 2 in si bemolle Op. 36 (seconda versione) MUSSORGSKIJ Quadri di un’esposizione pianoforte Boris Petrushansky
Asolo, Chiesa di San Gottardo, 8 settembre 2023
La quarantacinquesima edizione del Festival Internazionale di Musica da Camera “Incontri asolani”, che si svolge tradizionalmente nel mese di settembre nell’incantevole borgo della Marca Trevigiana, ha dedicato quest’anno due appuntamenti a Sergej Vasil’evič Rachmaninov, il grande pianista e compositore nato 150 anni fa in Russia e scomparso 80 anni fa negli Stati Uniti.
Il primo era incentrato sulla produzione vocale da camera, il secondo, cui abbiamo assistito, ad un confronto ravvicinato tra la musica pianistica di Rachmaninov e una delle pagine più celebri della tradizione russa del secondo Ottocento, i Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij.
Ultimo allievo del leggendario pianista e docente russo Heinrich Neuhaus, Boris Petrushansky dal 1990 è docente all’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro”, dove ha formando generazioni di pianisti, senza però abbandonare la carriera concertistica, sempre condotta ad alti livelli e nel solco mai rinnegato della grande scuola russa, di cui sembra essere l’ultimo alfiere per diretta discendenza.
All’età di settantaquattro anni, se il dominio tecnico è ancora buono, ma non più straordinario come un tempo, immutate restano la visceralità dell’approccio musicale e l’innata capacità di dare forma alle frasi musicali, sempre portate all’estremo della loro espressività. Ne sono stati un esempio i quattro brani con cui si è aperto il recital, quelli dove Petrushansky ha tirato fuori tutte le sue carte e ci è parso in sintonia perfetta con l’estetica tardoromantica. Nel Preludio n. 10 in si minore dell’op. 32 ha privilegiato il tono del racconto epico e un po’ misterioso, “di vicende immutabili che vengono incessantemente ripercorse”, come scriveva Rattalino a proposito di questa pagina, e che trova il suo climax nella parte centrale, dove la scrittura strumentale condensa sul pianoforte due blocchi di eventi sonori dalle dimensioni orchestrali. Petrushansky ha mostrato un suono di impressionante potenza, dai riverberi bronzei ricavato in virtù di una assoluta rilassatezza muscolare. Nel celebre Preludio in sol maggiore n. 5 ha ricercato le suggestioni extramusicali evocate dal pezzo, tutto percorso da un moto ondeggiante di suoni brevi che sembrano richiamare il movimento dell’acqua, su cui si staglia l’incantevole melodia, che il pianista russo ha delibato in ogni suo passaggio con tempi dilatati, facendone emergere la chiara derivazione chopiniana.
Ben dominati anche i difficili due Etude-Tableaux op. 39 (n. 3 in fa diesis minore e n. 1 in do minore), nel secondo dei quali è riuscito a trasmettere quel carattere inquietante, quasi demoniaco che lo percorre.
La complessa Sonata in si bemolle minore op. 36, eseguita nella seconda versione del 1931, chiudeva la prima parte del concerto: una pagina che Petrushansky ha eseguito con la consueta possanza sonora, conferendo unitarietà nella sua forma ciclica ad una composizione che non sempre procede in maniera lineare, e privilegiando le oasi di lirismo dolente che caratterizzano il secondo movimento “Non allegro – Lento”.
Dopo una prima parte così impegnativa, il pianista russo non si è risparmiato nella seconda con il capolavoro di Mussorgskij, che da una vita ha in repertorio ed ha eseguito spesso nei suoi programmi. Singolari nella sua interpretazione le scelte di tempo, tendenzialmente più rilassate di quanto siamo abituati ad ascoltare, legate — ci è parso — più a momentanee difficoltà tecniche che a precise preferenze stilistiche. Forse la stanchezza non ha giovata ad un’esecuzione nel complesso buona, ma non del livello che ci si aspetterebbe da un pianista di vaglia come Petrushansky. Di cui però va sempre riconosciuta l’onestà di interprete, una certa fantasia nel costruire il fraseggio e, soprattutto, una singolare capacità di narrare e di mirare al lato immaginifico delle pagine che esegue, prendendo quasi per mano il pubblico che lo ascolta.
Generosi i quattro bis concessi (Shostakovich, Prokofiev, Tchaikovsky e una Sonata di Scarlatti), premiati dai vivi applausi del pubblico.
Stefano Pagliantini