VIVALDI Concerto per archi in La I Solisti Filarmonici Italiani
BACH Concerto in re per 2 violini e archi BWV 1043 violini Federico Guglielmo, Silvia Mazzoni
Concerto in la per tastiera, flauto, violino e archi BWV 1044 pianoforte Andrea Padova flauto Giovanni Mareggini violino Federico Guglielmo
Concerto in re per tastiera, flauto e archi BWV 1059 (ricostruz. di A. Padova e M. Mazzoni) pianoforte Marcello Mazzoni flauto Giovanni Mareggini
Concerto per tastiera, 2 flauti e archi BWV 1057 pianoforte Nicole Costoli flauti Giovanni Mareggini, Stefano Maffizzoni, I Solisti Filarmonici Italiani
Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro (Festival dei Pianisti Italiani), 18 luglio 2023
Il secondo appuntamento del Festival dei Pianisti Italiani, ieri accolto dalla sontuosa, imponente, severa, classicissima bellezza spoglia di curiali seriosità dei soggioganti chiostri sanpetrini (l’impatto è, piuttosto, quello sereno del tempio pagano), si era aperto con la novità di qualche raffica favonia a tenere sulle spine i musicisti (ah, quelle giberne coi ciappini, trionfo delle massaie d’antan…), ma sufficiente a muovere quel minimo l’afa soffocante di quest’estate padana e dunque gradito assai a tutti gli altri. A disporre sùbito al buonumore il pubblico fu anche l’accoglienza, all’ingresso, da parte di Arianna ed Elisa, mascherine incantevoli, col loro sorriso aperto, leale e pulito da adolescenti. Il resto lo hanno fatto le musiche e i loro interpreti, che resero la presenza ai Chiostri molto più che una divagante sortita estiva.
Molti, troppi ahimè, anni fa il più geniale musicologo italiano, Giovanni Morelli (tanto intelligente da star sùbito caro agli Dèi, che troppo presto lo reclamarono) mi disse, con i suoi occhiolini ficcanti che s’illuminavano a riso, che Vivaldi, quando azzeccava la melodia, guardava da pari a pari Händel: solo che Händel, aggiungeva, la azzeccava sempre. Il Concerto che ieri ci ha introdotto a quelli bachiani non v’è dubbio sia tra le opere belle del Prete Rosso, la sua nobile, melodiosissima espressività non palesando mai quel tanto di accademico a cui sovente cedeva il frettoloso musicista. Ma quanto merito di quella intatta vitalità andrà attribuito agli interpreti? La serata, accostando violinisti a flautisti e presentando tre diversi pianisti, sembrava pensata apposta per mettere in rilievo proprio quell’aspetto unico e determinante dell’arte musicale: la centralità dell’interprete, con le sue proprie idee, l’indole sempre differente, i modi di intender ogni musica, gli umori, il senso del colore e la percezione del ritmo, le intenzioni.
Federico Guglielmo e Silvia Mazzoni — che dopo averci incantato in Shostakovich e in Brahms coi sortilegî della sua viola, era tornata ad imbracciare il violino — hanno disegnato nel Concerto in re minore, un Bach sorridente, luminoso, molto “italiano” nel suo sonoro melodizzare che si innestava con felice naturalezza sulla struttura formale tanto più serrata rispetto alle forme ‘molli’, aperte, flessibili di Vivaldi. Ne risultava un barocco già spogliatosi dei suoi pesanti riboboli, della sua imponente grandeur, più cordiale dello stile che glorificò Controriforma (insomma più un Cavalier Marino ancora in odor di Guarini, quello della Sampogna, degli Idillî o delle postume Egloghe boscherecce, per intenderci, che Bernini o Borromini, Monteverdi operista, pei tramiti del geniale Busenello, più che Cavalieri filippino) ma non ancora normalizzatosi in rococò, luminoso e solido come un ipotetico Tintoretto non veneziano.
Nel Concerto in la minore, la pratica nel barocco musicale di Guglielmo si sposava in felicità d’esiti con la lettura di Mareggini che guarda a Bach con l’occhio assuefatto alla contemporaneità nostra, che il flautista s’è formato in decennî di militanza nell’Icarus Ensemble: la flautata petulanza dei suoni si precisava in un più esatto disegno, a supporto dell’arco sempre sul filo, togliendo impertinenza di siringa e dando struttura alla musica: sposalizio perfetto con l’analisi minuziosa, severa (non però seriosa), di Andrea Padova, il quale ha maturato un molto affascinante suono, ficcante e quasi clavicembalistico negli acuti, rotondamente morbido, pieno, fondante, nel basso dei suoni gravi, ottenuto attraverso un tocco puntuto, che saremmo tentati di dir ‘secco’, non fosse che secchezze non ve ne sono, né tecniche né espressive. Il Bach cordiale si fa qui intellettuale, ma senza gravità, un intellettuale scevro di trombonismi. Però astratto, solipsistico, straniato dal mondo. Che non vuol proprio dire, in questo caso, privo di una sua fine, precipua, comunicativa.
La quale si fa, anzi, direttissima, quando al piano siede Marcello Mazzoni, che — assieme allo stesso Padova — ha tentato una sua personale ricostruzione del frammento (non più che 8 battute autografe) rubricato come BWV 1059, partendo dalla Sinfonia della cantata Geist und Seele wird verwirret (BWV 35), sul medesimo tema melodico. Mazzoni e Padova non sono i primi — tra i tanti ricostruttori dell’opera mancata — a sostituire il flauto all’oboe del frammento (e della cantata). Mazzoni, dicevo, ha come dote precipua quella di tirar subito dalla sua l’ascoltatore, un modo diretto di porsi allo strumento, imprimendo alle sue letture — quale che sia la musica sonata — una forte dose di tensione emotiva sorretta da un suono sempre pieno, che non sbraca però mai nel puro effettismo. Non ne conosco molti così.
L’ultima opera del programma, nella quale al flauto sempre mirabile di Mareggini, si affiancava quello di Stefano Maffizzoni, era il magnifico Concerto BWV 1057, trasposto per favorire il suono dei traversieri in luogo dei flauti dolci dello spartito. Al piano sedette, stavolta, la giovanissima (avrà avuto vent’anni?) Nicole Costoli, allieva dei due pianisti prima ascoltati, che ha mostrato una personalità piuttosto sbalorditiva per la sua età, a partire dal tocco, dai colori ricchi di sfumature, delicati senza evanescenze, molto eleganti, per finire alla personalissima lettura di quella musica così meravigliosamente (nel senso barocco) mutevole. Ciò va sicuramente a lode dei maestri, intelligenti tanto da non cercar di formar allievi-cloni; ma se poi l’allievo non ha una sua individualità, l’imitatio magistri diviene per lui quasi naturale ombrello protettivo. La maturità d’interprete della Costoli si mostrava fin dal suo suonare senza protagonismi, anche nei passi ch’espongono la tastiera alla ribalta, mai detti con tono più asseverativo: non ne aveva bisogno, poiché la sua discrezione non equivaleva a pallore, era piuttosto l’eleganza forbita senza snobistici preziosismi di chi maneggia un tessuto di delicatissima trama e di straordinario pregio. Senza il bisogno di dire: io ci sono; la presenza, di suono e d’espressione, era costante.
Una terza maniera, su tre interpreti pur legati da comunanza di sensi (Padova e Mazzoni sono collaboratori di antica data), di intendere e di interpretare Bach: Padova è analitico e si pone in un rapporto di corrispondenza intima con il musicista, Mazzoni, al contrario, lo illumina condividendolo in felice allegria col pubblico; Nicole Costoli lo carezza col rispetto che si deve a un gigante che non sa invecchiare dopo 300 anni, rinfrescandolo negli spiriti e ravvivandolo nei colori, nel tessuto.
La musica, per una sera, è tornata ad essere materia viva. Da una sera d’estate cosa si può volere d’altro?
Bernardo Pieri