Non si vuole essere cinici ad ogni costo, ma il mondo dei concorsi musicali non è, generally speaking, quello che si dice un modello di virtù: senza volere generalizzare, le cronache ufficiali e le voci ufficiose pullulano di storie in cui si legge di giudici che introducono i propri allievi fra i partecipanti e ne “agevolano” la vittoria, oppure di competizioni talmente secondarie, che fruttano premi talmente risibili, da far sorgere più di un dubbio sulla loro utilità. Un peccato, naturalmente: perché i concorsi, quelli grandi e seri, sono ancora oggi una tappa quasi indispensabile nella carriera di un musicista, il cui talento potrebbe far fatica ad emergere in altro modo. Ecco perché solo dare un’occhiata alla giuria del concorso Clip di Portofino (di cui avevamo già parlato su questo sito: vedi qui) ci si sente sollevati: sette membri (anzi sei, poiché Fortunato Ortombina, Sovrintendente della Fenice, non è potuto essere presente) che non sono maestri di canto – e quindi non hanno allievi da favorire – ma che, invece, sono a capo di teatri di primissimo ruolo, a partire ovviamente da quel Dominique Meyer, presidente della giuria, che oggi guida la Staatsoper di Vienna e domani (come ognuno sa) succederà a Pereira a Milano. Con lui, il direttore generale della Monnaie, quello dell’Opera di Amsterdam, Gianni Tangucci del Maggio e i casting director del Bolshoi e della Staatsoper di Amburgo.
Giunto alla quinta edizione, Clip, che è organizzato dall’Associazione Bottesini e dal suo Direttore Artistico Francesco Daniel Donati, ha visto l’arrivo di oltre cento concorrenti da 38 nazioni, che nella finale di giovedì 25 luglio a Villa Durazzo (Santa Margherita) erano ormai ridotti a 10: ben 4 mezzosoprani (una piacevole anomalia), 3 soprani, due tenori e un baritono. La “colonia” italiana era rappresentata dai soprani Veronica Marini e Federica Guida, nonché dal tenore Paolo Antonio Nevi. Ognuno di loro ha cantato due arie, mettendo in mostra – nonostante una sala piccola, che rendeva difficile capire le vere dimensioni delle voci – un livello medio davvero notevole: subito mi sono parse davvero eccezionali sia la giovanissima (22 anni) palermitana Federica Guida, impegnata nel Valzer di Juliette e nella nota “Der Hölle Rache”, che l’irlandese Gemma Summerfield, che ha accostato con notevole senso dello stile il raro Nicolai (Le allegre comari di Windsor) e l’Händel della Rodelinda. Il baritono polacco Szymon Mechlinski ha una “canna” di tutto rispetto, ma sembra spesso limitarsi a metterla in mostra, mentre fra i vari mezzosoprani la russa Zlata Khershberg faceva capire come una voce ampia e sontuosa serva a poco se non si ha molta idea di come il Belcanto vada affrontato.
La sera seguente, il concerto di gala con Orchestra (l’Orchestra Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti diretta da Aldo Salvagno) nella vippissima piazzetta di Portofino: questa volta i dieci finalisti hanno scelto un’aria a testa (non necessariamente già cantata il giorno prima). Scontate le difficili condizioni acustiche, e un’amplificazione non buona, si è imposto in maniera ancora più chiara il talento cristallino della Guida, che ha strameritato la pioggia di premi poi ricevuti. Meno condivisibile la “salomonica” decisione di sdoppiare primo, secondo e terzo posto con degli ex aequo: una giuria, a mio avviso, ha il dovere di prendere decisioni, anche difficili.
Oltre a vari premi speciali, distribuiti un po’ a tutti, questa risultava quindi la classifica finale:
1° Federica Guida, Soprano – 22 anni Italia
1° Gemma Summerfield, Soprano – 28 anni Irlanda
2° Veronica Marini, Soprano – 26 anni Italia
2° Chuan Wang, Tenore – 30 anni Cina
3° Ambroisine Bré, Mezzosoprano – 31 anni Francia
3° Szymon Mechlinski, Baritono – 26 anni Polonia
E prima della conclusione, Dominique Meyer è stato così cortese da rispondere a qualche domanda: ecco quanto ha raccontato a MUSICA.
In che cosa differisce questo concorso dagli altri? Come è cambiato negli anni?
Le ragioni del suo indubbio successo sono molteplici: in primis metterei la giuria, che è composta solo da persone che possono davvero scegliere e immediatamente firmare contratti, qualora convinte da uno o più cantanti, quindi influire in modo concreto e immediato sulla carriera dei ragazzi. Quindi il luogo da sogno in cui si svolge, che rende tutti felici e anche questo non è un dettaglio. Infine l’abilità di Francesco Daniel Donati, che riuscendo a coinvolgere tutta la comunità di Portofino, sia i residenti sia le tante famiglie con case di villeggiatura in loco, ha creato un clima di familiarità e semplicità che abbraccia giudici e concorrenti in ugual misura, facendoci tutti davvero sentire a casa, tant’è che spesso i vincitori degli anni passati tornano qui ospiti, creando una continuità preziosa, che rende Clip non più una semplice tappa di carriera.
Cosa cercate soprattutto? La maturità tecnica delle voci o una personalità spiccata?
Perché scegliere? Le cerchiamo entrambe!
Ovviamente non è vero, come spesso si legge, che “mancano le voci”. Ma quali problemi incontrano i giovani cantanti, rispetto al passato?
Francamente non credo ci siano problemi nuovi, diciamo che non sono mai stati risolti quelli vecchi. Ad esempio i Conservatori hanno pochi mezzi e sale spesso piccole, in cui non si riesce a capire come vive una voce davvero, come nelle sale grandi. Poi le esigenze sono sempre più alte, anche le sale di provincia vogliono voci di alto livello e la concorrenza nelle programmazioni è sempre più accentuata, questo sì. L’opera si è mondializzata, cresce il Sudafrica, la Corea, la Cina, le opportunità si moltiplicano, il quadro quindi nel complesso è sempre più interessante. Poi ci sono anche modi di fare programmazione che i problemi li creano obtorto collo, come quello di seguire le ricorrenze: quanti tenori wagneriani ci devono essere al mondo, quando tutti i teatri hanno pianificato contemporaneamente la stessa stagione di ricorrenza wagneriana? A volte i problemi ce li creiamo da soli. È successo con Verdi, ad esempio.
Ha spesso dimostrato di scritturare cantanti al di fuori dal giro delle agenzie. Quindi si può sfuggire alla dittatura delle agenzie, che in alcuni teatri giungono a monopolizzare l’80% degli artisti in cartellone?
Quale dittatura? Non ho mai vissuto la dittatura delle agenzie, ognuno è e deve essere libero. Io scelgo i miei artisti, poi subentra l’agenzia ma in un ruolo diverso. Le agenzie non devono né possono essere un peso.
Ascoltando la finale, ho positivamente notato una certa sopravvivenza di scuole di canto ben distinte a seconda della nazionalità. Concorda?
Assolutamente sì ed è anche la ragione per cui in giuria abbiamo voluto che fossero rappresentati teatri del nord e del sud dell’Europa in egual misura, perché ogni pubblico e quindi ogni teatro ha esigenze diverse, che possono trovare maggiore riscontro in una scuola o in un’altra. Non può esistere un unico modo di programmare, ognuno deve conoscere il proprio teatro e scegliere di conseguenza.
Come può evolvere Clip?
In realtà sogno una non evoluzione. Clip deve rimanere il prezioso gioiello che è ora: piccolo, efficace, prezioso.
Nicola Cattò