BRAHMS Rapsodia in si minore Op.79 n.1; Intermezzo Op. 118 n. 6; Intermezzi Op. 117; Ballata in sol minore Op. 118 n.3 DVOŘÁK Minuet Op. 28 n.1; Pezzi per pianoforte Op. 52 n. 4, 5, 6; Humoresques Op. 101 n.4, 6, 7; Egloghe B 103 n.3 e 4; Moderato B 116; Quadri poetici Op. 85, n. 3, 6, 9, 10, 11, 12, 13 pianoforte Mikhail Pletnev
Verona, Teatro Filarmonico, 19 settembre 2022
La presenza di Mikhail Pletnev in una rassegna concertistica continua a creare attese e sorprese verso uno degli artisti più amati e discussi sulla scena internazionale. Per la XXXI stagione del “Settembre dell’Accademia” promosso dall’Accademia Filarmonica di Verona, come da uno scrigno Pletnev rivela nuovi orizzonti senza esitare a esplorare repertori meno battuti e pure difficilissimi come l’opera pianistica di Dvořák, praticamente sconosciuta, integrata in un programma con alcune pagine di Brahms.
Siamo nella dimensione del pezzo pianistico breve, della concentrazione espressiva, della poesia e del frammento, un mondo dove Pletnev ci conduce come uno sciamano, in cui Brahms diventa solo un punto di riferimento mentre Dvořák assume maggiore importanza per il numero di brani, illuminandosi in quanto autore da valorizzare se non riabilitare ben più di quanto si possa credere. La Rapsodia op. 79 n.1, due pezzi dall’op. 118 e gli Intermezzi op. 117 di Brahms bastano a fare da ponte fra i brani di un’ampia antologia di pagine sparse di Dvořák, dal Minuetto op. 28 n. 1 ad estratti dall’op. 52, a una serie di Humoresque fino ai Quadri poetici op. 85, concatenati da Pletnev con un enorme e superiore senso spirituale unitario.
Di Dvořák pone sempre in primo piano il mondo slavo e le sue inquietudini, in un clima notturno, carico di ombreggiature, una realtà sotterranea immersa in giochi chiaroscurali, quel raccoglimento intimo coltivato anche da Grieg, di cui Pletnev è pure interprete sopraffino come ha già dimostrato anche in disco. La domanda è di fatto sempre la stessa: come fa a muoversi come un mago incantatore in dinamiche costantemente tese dal mezzo piano in giù? Nell’Humoresque op. 101 n.4 agita un continuo pianissimo, mai fine a se stesso, un giocare col suono che inscrive tutti questi brevi brani in una precisa dimensione timbrica che ne realizza anche l’unicità narrativa e il mistero di ognuno. Persino nel Minuetto di Dvořák si scorge una profonda nostalgia di antiche rimembranze attraverso la contemplazione del pianissimo, che nell’Humoresque in si maggiore op. 101 n. 6 incanta cogliendone la sostanza intima, giocando su accompagnamenti magici di timbri seducenti. Un virtuosismo del suono con cui Pletnev ci trascina fin da subito in un proprio romanzo musicale, guidandoci fra varie stanze organizzate secondo livelli di sonorità, e con una linea di canto sempre penetrante. Se vuole maggiore evidenza esce allo scoperto, come nell’op. 117 n. 2 di Brahms tra mormorii interni, o emergendo da riverberazioni ed echi come nell’op. 117 n. 1.
Eppure rilegge ogni battuta di questo pianismo di fine Ottocento in senso moderno, dove la pedalizzazione crea in Brahms persino aloni novecenteschi, che intravedono poi in Dvořák premonizioni di Albéniz o Debussy, o visioni retrospettive che lasciano affiorare sprazzi di Chopin e Liszt, attraverso un’attenzione quasi sovrumana alle modulazioni e alle loro implicazioni drammaturgiche.
È quel suo particolare magnetismo alla base di una poetica di sospensione del tempo in cui una danza popolare si trasforma in un lontano ricordo, o in un enigma. Non si tratta di essere maestri del foglio d’album o bravi autori di cammei (come potrebbe valere per alcuni pianisti che eccellono nel collezionare bis), ma di esercitare un carisma capace di abbracciare un respiro generale dove ogni nota resta profondamente legata al resto, mettendoci a diretto contatto con l’imponderabile che anima l’essenza stessa della musica dal vivo. Nel Notturno op. 9 n. 2 di Chopin fuori programma, Pletnev rilegge la celeberrima pagina in una nuova dimensione temporale, trasformandola quasi in un problema filosofico, che si risolve poco dopo nello studio op. 72 n. 6 di Moszkowski, da sempre prediletto. Lunghi applausi e ovazioni.
Mirko Schipilliti
Foto: Brenzoni