DONIZETTI Lucia di Lammermoor D. Luciano, R. Iniesta, D. Korchak, P. Antognetti, M. Palazzi, N. Gavrilan, G. Sorrentino; Coro Lirico Marchigiano V. Bellini, FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore Jordi Bernacer regia Jean Louis Grinda scene Rudy Sabounghi costumi Jorge Jara
VERDI La traviata N. Machaidze, M. Marini, S. Giannetti, A. Ciaramitaro, R. De Candia; Coro Lirico Marchigiano V. Bellini, FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore Domenico Longo regia Henning Brockhaus scene Josef Svoboda costumi Giancarlo Colis
Macerata, Arena Sferisterio, 59° Macerata Opera Festival, 12 e 13 agosto 2023
Mancava allo Sferisterio da 20 anni, esattamente dal 2003, quando per l’ultima volta venne ripreso in Arena Sferisterio lo storico spettacolo ideato da Josef Svoboda e Hening Brockhaus con la presenza di Mariella Devia, e forse anche per questo il ritorno della donizettiana Lucia di Lammermoor era particolarmente atteso dagli appassionati, nonostante un calendario di recite confinate ad agosto (bei tempi, quando si poteva in un weekend assistere all’intera stagione). Il ritorno non ha deluso le attese, non tanto per il gradevole ma fondamentalmente innocuo spettacolo di Grinda (che ha sfruttato, però, solo in parte le possibilità offerte dalla scelta di videoproiezioni), quanto per il valore del cast vocale radunato per l’occasione. Davide Luciano, per cominciare, è stato un ottimo Enrico, villain quanto basta ma anche capace di alcuni scatti di repentina fragilità, in grado di muoversi con autorevolezza nella tessitura del ruolo, mentre Dimitry Korchak, dal canto suo, è stato un Edgardo efficace, con qualche slittamento nell’intonazione compensato da un accento sempre partecipe oltre che da un lodevole rispetto della scrittura donizettiana (non è dato sempre di ascoltare l’esecuzione integrale della maledizione). Meglio di tutti, però, la bella Lucia di Ruth Iniesta, dalla voce limpida e sempre a fuoco, in grado di uscire con tutti gli onori non solo dall’aria d’entrata (oggettivamente un poco bassa per la sua vocalità) ma soprattutto dal duetto con Enrico e da un’emozionante pazzia, in cui il dialogo della voce con la glassarmonica suonata dal bravissimo Sascha Reckert è stato salutato da sinceri e meritati applausi. Una gradevolissima sorpresa lo sposino dello squillante Paolo Antognetti mentre per il Raimondo di Mirco Palazzi va registrata una serata di non perfetta forma vocale. Una compagnia di canto di valore, quindi, che avrebbe meritato una direzione d’orchestra più sensibile di quella offerta da Jordi Bernacer, che ha sostituito il previsto Francesco Ivan Ciampa, e che ha firmato una direzione dai tempi spesso fin troppo lenti e privi di mordente. Pubblico non foltissimo, ma partecipe e plaudente.
Tutta esaurita, invece, l’ultima recita dell’ormai storica Traviata “degli specchi”, spettacolo ormai storico, che non dimostra affatto i suoi 31 anni e che resiste stoicamente a ogni ripresa e alle nuove idee registiche di Brockhaus (alcune felici, come il grande telo rosso della Festa di Flora già visto due anni fa, altre meno, come gli irritanti ballerini durante “Un dì, felice, eterea”), conquistando ogni volta l’affetto e l’ammirazione del pubblico. Va, tuttavia, detto che, fermo restando che si tratta di uno spettacolo storico che solo allo Sferisterio svela il suo enorme potenziale, sembrava migliore l’idea di riproporlo ogni tre anni, come si è fatto dal 2012, perché nel metterlo in scena ogni due c’è il rischio di inflazionarlo: il pubblico, tuttavia, premia la scelta al botteghino, quindi forse le perplessità sono solo di chi scrive. Musicalmente si è trattato di una ripresa di routine medio-alta, in cui spiccava il debutto europeo del giovane tenore americano Anthony Ciaramitaro, dalla voce interessante e squillante e che, una volta sistemata una dizione non irreprensibile, potrà offrire soddisfazioni. Nino Machaidze ripropone la sua collaudata Violetta, con una voce corposa che non fatica a riempire lo spazio maceratese e una seducente presenza scenica mentre Roberto De Candia, sostituito alla prima da Claudio Sgura per indisposizione, incappa in una serata di non ancora perfetta forma fisica (evidente nell’aria) che però non intacca la cura di un bellissimo fraseggio (il migliore del terzetto protagonista) che ha come evidente modello l’indimenticato Sesto Bruscantini. Nel complesso di buon livello lo stuolo dei comprimari, così come l’affidabile e sicura direzione di Domenico Longo. Per il 2024, 60° Festival, si annuncia un Tutto Puccini, con la prima volta allo Sferisterio di La fanciulla del West oltre a Turandot e La bohème e a un progetto legato al Trittico, si spera con una calendarizzazione più pratica e attenta alle esigenze di chi arriva da fuori regione.
Gabriele Cesaretti