DEL CORNO A coda di rondine VON WEBER Concerto n. 1 per clarinetto e orchestra op.73 – R. STRAUSS Ouverture e Scena della danza da “Ariadne auf Naxos” MOZART Sinfonia n. 38 KV 504 “Praga” clarinetto Alessandro Carbonare Orchestra Regionale della Toscana, direttore Vincenzo Milletarì
Firenze, Teatro Verdi, 4 maggio 2023
Il trentatreenne Milletarì, tarantino come Paisiello, è direttore scientifico. Del suo illustre corregionale e maestro Riccardo Muti ha l’attacco imperioso della destra che mobilita le entrate di sezioni e prime parti con l’anticipo strettamente necessario e il giusto quantum di energia, mentre la sinistra anatomizza al minuto i coloriti espressivi (belli quei pantomimici arabeschi nella straussiana Tanzszene dall’Ariadne versione 1916!). In più, forte dell’invidiabile elasticità di membra offertagli dalla giovane età, colonizza lo spazio intorno al podio con saltelli e proiezioni da verace giroscopio umano: una fluida danza di cui s’intuisce la razionale sintassi generata dall’architettura in fieri della musica;non già il futile dimenamento a favore di camera con cui ci stuccano negli ultimi tempi certi influencer della bacchetta che meglio definiresti, a seconda del sesso, cubisti o tronisti da discoteca.
Il favore di un pubblico che riempiva per appena due terzi la sala del Verdi si divideva equamente fra lui e il navigato Alessandro Carbonare, sugli scudi nel micidiale concerto weberiano del 1811 e più ancora nel bis concesso a furor di popolo: un’improvvisazione a solo mista di spunti klezmer, balcanici e armeni stilizzati ai limiti dell’eseguibilità. Tale rapsodia estemporanea faceva da contrappeso alla calcolatissima partitura di Filippo Del Corno, una novità quasi assoluta qui presentata in apertura di serata (presente l’autore) dopo la prima del 16 marzo ai Pomeriggi Musicali di Milano. Attraente l’idea di sottoporre a esaustive metamorfosi combinatorie un tema di presunta origine popolare già ampiamente circolato tra vari frottolisti e polifonisti rinascimentali fino alla vetta del Capriccio frescobaldiano (1635, Fiori musicali). Ci assicurano gli etnomusicologi che se ne troverebbero ancora tracce nel repertorio orale dell’Appennino emiliano, del Biellese e del Canton Ticino, nei concerti di campane e così via. Ma non sarebbe stato il caso di esporlo per intero all’inizio e/o alla fine della presente rivisitazione? Un semplice pattern ritmico e un salto ascendente di quinta entro una melodia di otto note non sembrano sufficienti all’uditore medio per cogliervi l’implicita ricchezza dei riferimenti culturali né la maestria del cangiante involucro orchestrale che ne racchiude i frammenti.
Il lato passionale-demoniaco identificato da Hermann Abert nelle ultime sinfonie mozartiane si manifesta in prima istanza con la Sinfonia n. 38, quella “Praga” composta alla fine del 1786 per un pubblico che nemmeno un anno più tardi avrebbe accolto con esito trionfale le inquietanti folate metafisiche del Don Giovanni. In soli tre movimenti senza minuetto, alla vecchia maniera italiana della “sinfonia avanti l’opera”, questa partitura bilancia le durate con un primo labirintico Adagio-Allegro che davvero si direbbe germoglio di tragicommedie prossime venture. Illusione prospettica? Forse, ma a legittimare l’intuizione accesa in Abert dal forte risalto drammatico delle sezioni in tonalità minore, da qualche ricorrenza tematica nel successivo Andante centrale, dalla sapienza contrappuntistica che innerva la feroce allegria del finale in rondò, provvedevano egregiamente l’ORT e il suo direttore ospite. Artiglierie di timpani in primo piano, brusche impennate dei “tutti” in fortissimo, tensioni armoniche prolungate, irruzioni di fugato a squarciare la serenità del flusso cantabile. Sturm und Drang in ritardo o ruggiti beethoveniani in (forte) anticipo? Al diavolo le periodizzazioni dei bignamini, in compagnia di Hegel e di tutti i suoi bidelli! Questa è grande musica interpretata alla grande, e tanto basta.
Carlo Vitali