CURTONI Raffa in the Sky, Chiara Dello Iacovo, Dave Monaco, Gaia Petrone, Carmela Remigio, Roberto Lorenzi, Haris Andrianos; Coro I Piccoli Musici, Orchestra Donizetti Opera, Ensemble Sentieri Selvaggi, direttore Carlo Boccadoro regia Francesco Micheli
Bergamo, Teatro Donizetti, 29 settembre 2023
Poteva sembrare decisamente bizzarra l’idea di dedicare a Raffaella Carrà una nuova opera da rappresentare al Teatro Donizetti nell’anno in cui Bergamo e Brescia sono capitale italiana della cultura. In realtà, il regista Francesco Micheli, artefice dell’operazione, ha acutamente soppesato vari fattori. Non saprei dire se la scena iniziale de La grande bellezza (2013) di Sorrentino, con la canzone remixata di A far l’amore, abbia contribuito in modo decisivo a un rilancio di notorietà della popolare soubrette italiana scomparsa un paio di anni or sono. Ma anche il fatto che nelle settimane scorse, per pubblicizzare la nuova edizione di X Factor, sia stato scelto il motivo “Na na, na na na na” da Rumore, vuol dire che la Raffa nazionale, anche ai nostri giorni e per le nuove generazioni, non è affatto uscita dai radar. Tutt’altro.
Questo era dunque un punto di forza del progetto che, tuttavia, doveva anche superare due ostacoli non indifferenti: da un lato la prevedibile diffidenza di chi ama Verdi, Puccini, Mozart, Donizetti; dall’altro l’oggettiva difficoltà di trasformare in un credibile soggetto operistico le canzoni e le trasmissioni televisive della Carrà. Per quanto riguarda il primo aspetto, sembra che le rimostranze e i mugugni, pur percepibili sotto traccia in vari ambienti della città orobica, siano rimasti confinati per lo più nella sfera privata, senza sfociare in espliciti dissensi durante la prima rappresentazione. Sull’altro fronte, va dato atto ai due librettisti incaricati, Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, di aver ideato un’intelaiatura drammaturgica funzionale, con un testo spesso arguto e spiritoso, con versi ricchi di rime e ottonari a mo’ di filastrocca, anche per non prendersi troppo sul serio. Grazie a loro e al lavoro di gruppo di tutti gli artisti coinvolti, senza dimenticare l’apporto economico dei sostenitori, un’idea difficilmente realizzabile si è invece potuta concretizzare.
Raffa in the Sky si presenta come una “fantaopera” in due atti, per una durata che si aggira intorno al paio d’ore. L’elemento fantastico nasce dalla provenienza aliena di Raffaella, inviata sulla terra dal pianeta Arkadia per dare consolazione al genere umano. La drammaturgia si articola su tre livelli, riflessi anche a livello scenografico: gli extraterrestri; una tipica coppia italiana, teledipendente e in crisi coniugale, che vive nel periodo degli anni ’70, ’80 e ’90; infine la carismatica protagonista che interagisce con tutti gli altri. Il re d’Arkadia (tenore, Dave Monaco) si chiama significativamente Apollo XI, con evidente allusione sia alla classica divinità delle arti, sia all’omonima missione spaziale che portò l’uomo sulla Luna. La coppia terrestre, Carmela (soprano, Carmela Remigio) e Vito (baritono, Haris Andrianos), passa dai sogni giovanili alla dura e implacabile monotonia del quotidiano, in una casa senza libri, dove il piccolo schermo, dapprima con i programmi Rai, poi con le emittenti commerciali, diviene una sorta di bussola esistenziale. Sullo sfondo, si intravedono le alterne vicende dell’Italia del tardo Novecento: gli anni di piombo e poi i trionfi calcistici degli anni ’80, tra Mundial di Spagna e Milan berlusconiano (“il gol dell’avvenire”, come canta nel primo atto il Grande Censore, basso, Roberto Lorenzi), in un’epoca comunque ancora precedente alla diffusione di internet, dei cellulari e dei social. Il figlio adolescente di Carmela e Vito, Luca (mezzosoprano), si scoprirà “queer”, e questo è un topos, semmai, delle serie televisive dei nostri giorni. Raffaella (voce di cantante pop, Chiara Dello Iacovo) alla fine rinnega le proprie origini aliene e decide di diventare una donna mortale: in questi aspetti si colgono analogie con temi trattati in opere di repertorio quali Madama Butterfly e Die Frau ohne Schatten. Ma Raffa in the Sky non sfiora le corde tragiche: piuttosto può far provare allo spettatore più o meno cinquantenne emozioni simili a quando oggi, per dire, si guarda su RaiUno Techetechete. E la “fantaopera” strappa più volte sorrisi o risate, per esempio quando Carmela accenna a Sue Ellen, indimenticabile personaggio della soap opera Dallas.
La musica di Lamberto Curtoni, violoncellista e compositore piacentino trentaseienne, già allievo di Giovanni Sollima, è zeppa di citazioni. Se le numerose canzoni di Raffaella Carrà, rielaborate ma facilmente riconoscibili, formano una sorta di struttura portante, nel discorso musicale irrompono anche numerosi motivi di Cajkovskij e, isolatamente, celebri frammenti di Donizetti (Lucia), Wagner (Lohengrin), Mozart (Don Giovanni). Raffa in the Sky si apre con una tonalissima ouverture-patchwork eseguita a sipario chiuso per proseguire con numeri formalmente tradizionali, comprendenti anche porzioni di recitativo, accompagnate da un clavicembalo sintetizzato. Al canto pop della protagonista si contrappone una vocalità di matrice per lo più pucciniana negli altri ruoli, tanto che la gelosia di Carmela, anche per il temperamento della Remigio, poteva ricordare quella di Tosca. Ma in un’aria baritonale di Vito si riconosceva, forse, una reminiscenza dell’Italiano del compianto Toto Cutugno. Negli interventi degli Arkadiani (con la partecipazione del Coro dei Piccoli Musici) si coglievano perfino echi di Monteverdi.
L’opera include inoltre un accenno di fugato nel finale primo, un quadro spagnoleggiante e un quintetto a tinte fosche, con i cantanti disposti dal regista lungo il perimetro della platea. Fin troppo facile, verso la fine, ottenere un gradimento “nazional-popolare”, come del resto auspicato dagli autori, con il reiterato ritornello “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù”. Una soluzione comunque puntualmente riequilibrata da un finale di natura intimistica.
Nel complesso, si tratta dunque di un’opera che non pone alcuna difficoltà di fruizione, anche se certamente mettere a punto l’intero meccanismo performativo e rappresentativo deve essere stato laborioso, oltre a richiedere un invidiabile affiatamento tra gli artisti. Il pubblico che gremiva il Teatro Donizetti alla prima rappresentazione (trasmessa in video anche dalla Rai) ha rivolto a tutti gli artefici e interpreti dello spettacolo, nessuno escluso, lunghi e convinti applausi. Particolarmente impegnativo il ruolo della protagonista, coraggiosamente affrontato da Chiara Dello Iacovo che alla fine, come bis, ha concesso “Ballo, ballo” trascinando spettatori e spettatrici, alcune delle quali con il caratteristico caschetto biondo, a battere ritmicamente le mani. E adesso? La “fantaopera” sulla Carrà darà origine a un nuovo filone di teatro musicale?
Marco Bizzarini
Foto: Gianfranco Rota