RACHMANINOV/RESPIGHI Études-Tableaux RACHMANINOV Concerto per pianoforte n. 2 in do op. 16 pianoforte Alexander Romanovsky Orchestra Sinfonica di Milano, direttore Claus Peter Flor
Milano, Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, 16 aprile 2023
Un Auditorium di Largo Mahler colmo di pubblico ha accolto il pianista Alexander Romanovsky nel pomeriggio di domenica 16 aprile, in occasione del secondo appuntamento dell’integrale dei quattro concerti per pianoforte di Sergej Rachmaninov con l’Orchestra Sinfonica di Milano e Claus Peter Flor sul podio. Se rischiosa sul piano esecutivo, in questo caso anche perché concentrata in soli dieci giorni, è un’integrale priva di rischi per quanto riguarda il riscontro del pubblico, perché i quattro concerti per pianoforte di Rachmaninov sul pubblico da sempre fanno presa. I lunghi applausi al termine dell’appuntamento di domenica, però, non nascevano soltanto dall’entusiasmo suscitato da una musica seducente e travolgente come poche altre, ma anche dalle emozioni che un pianista dai grandi mezzi tecnici e dalla sensibilità inquieta come Romanovsky ha saputo trasmettere.
È un virtuoso di prim’ordine Romanovsky, soprattutto per la spavalderia con cui affronta i passaggi più impervi, la chiarezza dell’articolazione, il controllo e la precisione dell’esecuzione (non per il volume di suono, che resta nella media). È un virtuoso che come molti altri vincitori di grandi concorsi – si è imposto sulle scene internazionali vincendo il Busoni nel 2001 – appare poco incline a lavorare a fondo sui piani sonori e poco incline ad abbandonarsi alla malinconia, soprattutto alla malinconia malata della Russia del primo Novecento, della quale i concerti di Rachmaninov sono pervasi. La nostra, però, non è l’epoca della malinconia ma della frenesia, della quale Romanovsky è stato un perfetto interprete, perché il suo Concerto in do era immerso nell’inquietudine, evidente nel fraseggio spigoloso, tutto scatti e rallentandi, e nella rinuncia a cercare un lungo arco espressivo attraverso il legato. Romanovsky, infatti, privilegiava i singoli dettagli del fraseggio, finendo per lasciare un’impressione di amarezza anche nei passaggi più brillanti. È vero che gli accordi con cui si apre il Concerto in do suonano come delle campane a morto, ma è anche vero che nelle battute conclusive del terzo movimento la ripresa del tema del pianoforte e quindi del grande tema degli archi arriva come un gesto consolatorio, un gesto che è assente nell’interpretazione frenetica di Romanovsky. Alla rinuncia ai lunghi archi espressive si è accompagnata, in questa interpretazione, la rinuncia alla ricerca dell’assoluta omogeneità del timbro e delle dinamiche nel cantabile, al contrario di quanto fa per esempio un altro grande interprete di Rachmaninov di oggi, Nikolai Lugansky, e di quanto faceva lo stesso Rachmaninov, del quale possediamo delle preziose testimonianze discografiche per tutti e quattro i concerti.
Tutt’altro è apparso il clima delle sontuose trascrizioni orchestrali di cinque degli Études-Tableaux per pianoforte realizzate da Ottorino Respighi nel 1931 con il beneplacito del compositore, perché Claus Peter Flor ha diretto la sua Orchestra con pragmatismo, badando a far funzionare tutto con impiegatizia precisione senza correre rischi. Di rischi, invece, ne ha corsi molti Romanovsky, perché si è lanciato a capofitto nei passaggi più difficili ma sempre con grande autorevolezza virtuosistica ed uscendone sempre a testa alta (impressionante il fugato nel movimento conclusivo), per quanto il virtuosismo sia stato solo un aspetto della sua interpretazione e nemmeno il principale. Al centro della sua lettura, infatti, c’era il fraseggio mosso e nervoso di cui si è parlato e del quale si potrebbero fare molti esempi, dall’esordio del primo movimento al modo in cui scivolava, all’inizio del secondo movimento, il disegno di accompagnamento al tema del flauto e del clarinetto. Sul podio Romanovsky è stato ben assecondato da Claus Peter Flor, che dall’Orchestra Sinfonica di Milano non ha cercato un suono particolarmente sensuale, ma ha ottenuto un legato ed una omogeneità timbrica apprezzabili,
Alla fine sono arrivati due bis, richiesti a furor di popolo, entrambi di Rachmaninov, in particolare una interpretazione esaltante del Preludio in sol op. 23 n. 5, ancora una volta tutto scatti e accensioni virtuosistiche.
Luca Segalla