CIAIKOVSKI Lo Schiaccianoci (estratti dall’atto II) BRAHMS Sinfonia n.2 in re maggiore op.73 Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 9 settembre 2014
JANÁČEK Sinfonietta SMETANA La Moldava DVOŘÁK Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 «Dal nuovo mondo» Orchestra Filarmonica Ceca, direttore Jiří Bělohlávek
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 17 settembre 2014
Temirkanov e Brahms, un binomio per il pubblico italiano abbastanza inusuale. Attirava, pertanto, l’ascolto della Sinfonia in re maggiore, oltre ai brani dallo Schiaccianoci di Ciaikovski, sempre affascinanti e graditi. Pagina tra le più amabili e meno tormentate del musicista di Amburgo, dall’equilibrato periodare, talvolta ameno, in altri momenti con accenni di burrasca subito sedati, si sfoga nel movimento finale nel quale Brahms dà sfoggio della propria perizia circa la conduzione dei temi e la fantasia timbrica. Temirkanov soppesa e delinea con il consueto parco gesto il fraseggio, adombra e irradia di luce i vari momenti, ma pare più frenato, attento a non lasciar sfogare la musica come invece è consueto fare. Così che su tutto il brano si stende un certo rigore sin troppo serioso. Con l’attacco del secondo atto dallo Schiaccianoci, la melodia di Ciaikovski rapisce immediatamente il pubblico e si ritorna immersi nello straziante mondo di insoddisfazione, angoscia e tragico destino dal quale il musicista russo non riuscirà mai a liberarsi. Si succedono così senza tregua i momenti salienti del balletto, sino al Pas de deux, introdotto con gesto secco, scabro, quasi violento da Temirkanov. E da questo momento sino al termine il direttore russo trascina gli orchestrali e il pubblico in un viaggio nella psiche disperata di Ciaikovski, lasciando letteralmente senza fiato. Liberatorio l’applauso finale e le innumerevoli chiamate. Temirkanov regala due bis, sussurrati: Salut d’amour di Elgar e il Tango di Albeniz. Pochi giorni dopo era la volta di
Jiří Bělohlávek a capo dell’Orchestra Filarmonica Ceca, con un programma dal sapore vagamente nazional popolare, se non fosse per un sotteso richiamo filosofico che univa i tre brani e per l’apertura della serata tramite la Sinfonietta di Janáček. Quest’opera, dall’affascinante ricchezza di colori, mutevolezza di timbri e complessità ritmica è purtroppo di raro ascolto, mentre meriterebbe un ascolto ripetuto: incanta la sapienza d’equilibrio tra i movimenti, quasi un richiamo alla perfezione di Haydn, nonché la varietà nel distribuire tra le parti orchestrali i vari momenti descrittivi che sottendono alla composizione. Difatti, ed è filo comune di tutto il programma, la pagina di Janáček sarebbe fotografia in musica di alcuni luoghi caratteristici della città di Brno. Così come di chiaro descrittivismo nazionalistico è la Moldava di Smetana, così come l’ultima sinfonia di Dvořák potrebbe anche essere letta come il rivolgere l’occhio alla patria da parte di un artista in quel momento lontano svariate migliaia di chilometri. Bělohlávek non indulge ad esaltare il lato estroverso, folcloristico o di facile ed enfatico effetto dei tre brani. Colpisce ed entusiasma il pubblico con un acuto senso delle proporzioni e della misura, sia nel gesto ridotto al minimo indispensabile, sia nel fraseggio e nel controllo delle dinamiche. Complice anche la compagine orchestrale ceca che ha dimostrato bellezza timbrica e perizia tecnica di prim’ordine.
Emanuele Amoroso