Venerdì 22 settembre, presso la Sala dei Giganti dell’Università di Padova, ha avuto luogo uno degli eventi più attesi e rappresentativi dell’appena conclusa edizione 2023 del Festival Bartolomeo Cristofori, dedicata alla valorizzazione del legame tra musica colta europea e artisti giapponesi, con il consueto focus sul pianoforte e i suoi interpreti.
Protagonista della serata è il ventinovenne Kyohei Sorita, impegnato come direttore-solista nella quarta e ultima data di una tournée italiana con la Japan National Orchestra, di cui è fondatore e produttore. Personalità dinamica e intraprendente, ormai ben nota a livello internazionale per via di un prestigioso secondo premio al Concorso Chopin di Varsavia del 2021, Sorita era già uno degli artisti emergenti più celebri e influenti del Giappone, sostenuto nella sua carriera e nella realizzazione delle sue idee da importanti mecenati, primo fra tutti Masahiko Mori, presidente della DMG Mori, nota multinazionale del settore high-tech. L’ambizioso progetto orchestrale della JNO, nata nel 2020 come evoluzione di un ensemble che il giovane talento aveva precedentemente formato con altri solisti suoi coetanei, ha potuto così svilupparsi forte dell’ausilio di ingenti risorse: questi musicisti, fin dagli esordi cameristici, hanno avuto accesso a circuiti concertistici di prim’ordine, oltre a vedersi offerta la possibilità di svolgere un approfondito lavoro di preparazione (hanno una sede stabile a Nara, non lontano da Tokyo) sotto una supervisione d’eccezione da parte di alcuni artisti dei Berliner Philharmoniker. Nel 2021 hanno esordito in una lunga tournée giapponese, con enorme successo di pubblico; nel 2022 un loro ensemble è stato protagonista di un’altra tournée, in Germania; infine è arrivata l’attuale prima, e importante, tournée italiana.
L’esperienza di questa giovane orchestra, sebbene sia evidente già dal nome come essa si prefigga di essere in qualche modo rappresentativa di un’eccellenza musicale giapponese, ha quindi un respiro apertamente internazionale, a partire dalle carriere solistiche e dalla formazione dei suoi membri. È un aspetto che va intensificandosi con le nuove generazioni e che molto probabilmente comporterà grandi mutamenti nel futuro del panorama musicale, considerando l’imprevedibilità delle combinazioni di mentalità, stili e approcci estetici anche inediti che il secolo in corso, appena ai suoi inizi, saprà offrirci. Avrà certamente un ruolo rilevante la crescente preparazione musicale e culturale che i musicisti di origine asiatica stanno dimostrando negli ultimi anni, smarcandosi in modo sempre più netto dalla mala fama — spesso peraltro frutto di pregiudizi, ora sordi, ora sordidi — di essere necessariamente meri esecutori, capaci di distinguersi solo nell’efficienza “atletica” della performance. Basta dare un’occhiata sommaria alle biografie di questi giovani artisti per veder sgretolare gli eventuali residui di tali vuoti stereotipi: Sorita ha portato avanti i suoi studi a Mosca e a Varsavia, e il repertorio russo e un rapporto privilegiato con la musica di Chopin sono tutt’ora al centro della sua identità di interprete e della sua attività concertistica; il primo violino, Seiji Okamoto, primo vincitore asiatico del concorso Bach di Lipsia, è da anni stabile in Germania; Xian Guo, di origine cinese, solista accanto a Sorita nel Concerto di Shostakovich, è attualmente prima tromba nell’orchestra finlandese di Tampere.
Forti della convergenza di tante diverse esperienze di eccellenza in tutto il mondo e uniti da un intenso affiatamento, questi “giovani che amano la musica” (era il nome del primo ensemble da cui tutto è iniziato) hanno presentato un programma di ampio respiro, incentrato sulla musica russa: con felice spregiudicatezza e un pizzico di sana näiveté hanno inserito, tra il romanticismo della Serenata per archi op. 48 di Ciaikovski e la geniale varietas del ‘900 di Shostakovich (ben condensata negli splendori del Concerto op. 35), una delle più note pagine del compositore estone — ancora vivente — Arvo Pärt, Fratres: quasi a ergere un ponte sovra-temporale tra i due autori.
Introducendo l’evento, il direttore artistico del festival, il vulcanico Alessandro Tommasi, che tra l’altro appartiene alla stessa generazione di Sorita, oltre a sottolineare l’eccezionalità di questa tournée italiana e delle convergenze che l’hanno resa possibile, ha voluto valorizzare la scelta del programma proposto, che nel palinsesto del festival prende il nome di Est dell’oriente: un titolo che è un omaggio alla memoria di Mario Bortolotto, il quale aveva intitolato così il suo saggio sulla musica russa. Accanto a un’orchestra giapponese che si accinge a offrire la propria lettura di Ciaikovski e Shostakovich, questo riferimento al lavoro del musicologo italiano suggerisce l’immagine di una fortunata convergenza di sguardi: esperienze culturali differenti che si incontrano, ritrovandosi in un’orizzonte comune.
Ho trovato quindi molto sensata l’assenza di accenni o distinguo relativi alle delicate circostanze geopolitiche attuali, anche se si tratta di un programma che effettivamente rende omaggio a due autori russi, includendo nel solco della loro tradizione musicale un terzo autore di origini estoni. Sarebbe stato un rilievo fuori luogo, di fronte a un così limpido esempio di come l’arte musicale, pur intrisa di legami con le tradizioni culturali da cui sgorga, sia una risorsa altamente rinnovabile, che appartiene — de facto — a chi la studia, la vive e la fa prosperare.
Ha quindi inizio la prima parte del concerto, interamente occupata dalla Serenata per archi di Ciaikovski, una composizione luminosa, felice, in cui emergono l’amore dell’autore per la classicità e la sua capacità di fare propria quella fondamentale istanza di equilibrio che porta a misurare e a temperare con naturalezza ogni elemento musicale e intenzione espressiva. Il gesto di Sorita è sciolto e privo di spigoli, chiaro, e ricco di movimento: l’orchestra lo segue suonando generosamente, con vaste gamme dinamiche e di colore e -al tempo stesso- con impressionante precisione. Sorprendono infatti la sicurezza esecutiva di ogni suo membro e la preparazione — quasi cameristica — dei più fini dettagli, ma ancor di più sorprende l’intensità espressiva con cui questi musicisti affrontano, rendendo a esso piena giustizia, il genio romantico di Ciaikovski. Il discorso musicale procede fluido ma teso, anche quando si cala nelle morbidezza del terzo movimento (Elegia) e nel clima un po’ sospeso del breve Andante che segue, così come nel primo movimento e nel finale, dove la scelta di tempi piuttosto rapidi, combinati con il sempre alto livello di cura in ogni nota, creano un’atmosfera di virtuosismo non diversa da quella che si viene a formare ascoltando un brillante solista. Il secondo movimento (Valse) viene eseguito con slancio e — pur senza eccessi — con una certa libertà agogica, dando spazio alle brevi fermate e ai cambiamenti timbrici, e caratterizzando con sapienza ed efficacia le diverse riproposizioni dei temi principali di questo brano, a dir poco delizioso. Nei momenti in cui la scrittura lo rende possibile, in particolare in alcune sezioni dell’Elegia, Sorita lascia ai suoi fidati colleghi piena libertà nell’esecuzione delle linee melodiche, seguendo la musica con gesti partecipi ma lievi, per poi riprendere le redini quando necessario. La resa formale del brano è ineccepibile: l’interpretazione di questa splendida Serenata è coerente, compatta, efficace. I musicisti, pur impeccabili, partecipano con pieno trasporto, senza mai risparmiarsi: è un’esecuzione ad altissimo impatto emotivo. Il Tema russo che conclude la composizione, dopo un Andante introduttivo che lascia tutta la sala col fiato sospeso, si dispiega energico e sempre ben direzionato, portando il pubblico, tanto impressionato quanto commosso, ad esplodere in una potente e lunga ovazione.
La seconda parte, con il grancoda Steinway della Sala dei Giganti già disposto di fronte a un Sorita ancora in piedi, si apre con Fratres, staccato ad un tempo leggermente più lento del consueto e sul filo di un pianissimo sottile e molto controllato. Nel bilanciamento sonoro tra le parti, il bordone risulta un po’ trattenuto e rimarrà tale anche nei momenti di maggiore intensità dinamica. L’atmosfera sospesa e un po’ indefinita di questo brano, costantemente scandito da una sobria percussione, rada e ripetitiva, con i suoni dell’orchestra d’archi che emergono poco a poco in un intreccio struggente, per poi ritornare gradatamente verso il silenzio originario, viene resa efficacemente e con infallibile bravura, in un clima di concentrazione e calma imperturbabili, senza traccia di quelle ingombranti pose ieratiche che spesso accompagnano le esecuzioni di musiche di questo tipo. Tutto il contrario: esaurita l’ultima vibrazione, direttore e orchestrali si sciolgono quasi immediatamente in un sorriso, pronti a ricevere l’applauso del pubblico.
Arriva dunque l’atteso momento del Concerto di Shostakovich. Finalmente seduto al pianoforte, dopo la guizzante introduzione al fianco dell’ottima tromba solista, Sorita si cimenta con espressione e grande libertà agogica nella raffinata scrittura a due voci del breve episodio che, con tanto di umoristica citazione beethoveniana, introduce la suggestiva entrata dell’orchestra. L’impostazione interpretativa e l’eccellente qualità esecutiva di questo concerto hanno molto in comune con quanto emerso nella Serenata di Ciaikovski, tanto per la precisione e la coerenza nella resa dei dettagli, quanto per la forte caratterizzazione dei diversi movimenti e delle loro suddivisioni interne: un aspetto che risalta particolarmente in questa composizione, così ricca di andamenti e caratteri differenti. Degna di nota anche l’estrema rapidità nelle parti veloci, supportata dall’alto livello esecutivo dei solisti e dell’orchestra.
Le qualità che forse meglio caratterizzano la musicalità e il pianismo di Sorita (pienamente riscontrabili anche nella sua direzione) sono la fluidità e la visione d’insieme. È uno strumentista eccezionalmente dotato e preparato: non sbaglia praticamente nulla e anche quando mostra le sue carte migliori, sia in termini espressivi che di virtuosismo, lo fa sempre in virtù di uno sguardo complessivo sulla frase musicale, sul contesto formale in cui è inserita, sulla struttura della composizione. Il suo approccio pianistico è ricco di slancio, ma senza durezze: il suono resta sempre limpido, ben intellegibile, al servizio di una precisa intenzione espressiva. Dotato di mani non grandi ma elastiche e rapidissime, si pone di fronte al pubblico con energia e disinvoltura, tanto che nell’affrontare i passaggi più concitati il suo modo di suonare può sembrare disordinato, quasi arruffato, ma è solo un’apparenza visiva: la musica sotto le sue dita scorre limpida e ben ragionata, dalla prima al’ultima nota. Sorita inoltre gestisce molto bene la frenetica alternanza a cui viene costretto dalla vivace scrittura di questa composizione in quanto direttore-solista. Tuttavia, malgrado l’evidente carisma e delle così spiccate qualità, nelle sue parti solistiche emergono anche limiti importanti. Tutto è sotto la luce del sole, quasi senza aspetti implciti: ogni contrasto risulta risolto sul nascere, ogni linea e ogni angolo ben arrotondati. Nei passaggi più espressivi l’approccio musicale di Sorita risulta quasi edonistico: manca quella spigolosità un po’ stridente e sottesamente drammatica che altri interpreti riescono a manifestare nel suono pianistico, lasciando intravedere i complessi enigmi della musica di Shostakovich. Anche nei passaggi rapidi si sente spesso la mancanza di sonorità più secche e taglienti, che evidentemente non sono nelle sue corde e nemmeno nei suoi intenti. Sorita, sia dal punto di vista direttoriale che solistico, è evidentemente teso verso una messa in luce della bellezza intrinseca e della vitalità di questa musica, e ne offre una lettura ricca di entusiasmo, variopinta, quasi “liberatoria”, a scapito dell’evocazione di asprezze rigorose e abissi interiori. Rimane il fatto che si tratta di un risultato concertistico straordinario, che si distingue per una comunione di intenti particolarmente felice tra i solisti e la giovane ma già notevolissima Japan National Orchestra. Anche la seconda parte si conclude tra lunghissimi e scroscianti applausi, e con l’auspicio di poter assistere presto a nuove future esibizioni di queste giovani e interessanti eccellenze musicali.
Sorita concederà due bis pianistici: un’elegante esecuzione della Polonaise in la bemolle di Chopin, suonata con grande libertà e virtuosismo (molto ardita, se confrontata con le registrazioni risalenti al periodo del premio Chopin) e Widmung di Schumann-Liszt, magistrale per quanto riguarda il dominio della pesante scrittura lisztiana, alleggerita e ben calibrata in favore della splendida melodia e dell’andamento drammatico del brano.
Matteo Galzigna