Birgit Nilsson Days
Båstad, 8, 9 e 10 agosto 2024
Una volta appagata la curiosità per lo straordinario ponte di Øresund che in un placido e rapido batter d’ali sorvola, quasi lambendolo, il Baltico tra Danimarca e Svezia, lo sguardo soccombe alla piatta monotonia di un paesaggio che poco alla volta assume le forme di un idillio insospettato. Un centinaio di chilometri e si scende a Båstad, rendendosi presto conto che un’atmosfera di rara armonia sta per attenderci. La piccola cittadina sul mare e i suoi dintorni sono pronti per accogliere svariate passioni in un contesto naturale impagabile. Ludwig Nobel, nipote di Alfred, a inizio ‘900, ne scoprì le potenzialità, avviandone tra l’altro la storia sportiva, più precisamente tennistica, che dal 1948 è quella dello Swedish Open, torneo di rango internazionale (nel palmarès, tanto per intenderci, sfilano i nomi di Borg, Wilander, Nadal…). A Hovs Hallar, qualche chilometro a sud, la penisola di Bjäre preserva la mitica spiaggia in cui il Cavaliere e la Morte si sfidarono a scacchi nel Settimo sigillo di Ingmar Bergman: non ci saranno intemperie capaci di impedire ai cultori del cinema di farvi pellegrinaggio (e i cinefili di nicchia sapranno anche che a Båstad è sepolto Bo Widerberg…). Ho lasciato la musica per ultima, ma solo per meglio dire che questa terra e l’immensa Birgit Nilsson sono una cosa sola. Qui è nata, nella frazione di Västra Karup, ha condiviso con la famiglia la gestione di una fattoria (dal 2010 Museo Nilsson, imperdibile), scoprendo anche la sua vocazione per il canto. L’indissolubile legame tra l’artista e questi luoghi, dove le persone e le cose continuano a parlare di lei con una semplicità affettuosa depurata da qualsiasi retorica celebrativa, è già stato accuratamente raccontato ai lettori di MUSICA da Nicola Cattò (n. 337). Può essere opportuno ricordare che dal 1955 ogni estate vi tenne concerti per finalità benefiche e, poiché tout se tient, giusto sessant’anni fa aveva impugnato la sua invincibile voce nel Tennisstadion. E che a favore della musica il suo impegnoha due date: il 1969, anno dell’ideazione dello “Stipendium” (attualmente, oltre 20.000 euro) a sostegno dei giovani cantanti svedesi (47 i premiati, dal 1973); il 2008, quando il primo Nilsson Prize rivolto a personalità o istituzioni di consolidato valore fu assegnato a Plácido Domingo. Due componenti con finalità distinte, ma che si integrano dando corpo ad un heritage che esprime in modo univoco lo spirito e la visione di Birgit Nilsson. Nel 2018, anno del centenario della sua nascita, in occasione della consegna del Premio a Nina Stemme (a suo tempo, già “Stipendium”), come ancora fu riferito da Nicola Cattò su MUSICA (n. 301), Suzanne Rydén, Presidente della Royal Swedish Academy of Music nonché della Fondazione Nilsson, sottolineò la volontà di continuare ad onorarne la memoria con altre iniziative. Ed è così che arriviamo finalmente ai Birgit Nilsson Days, abbozzati proprio in quell’anno e via via consolidatisi in una realtà dal carattere sempre più definito, in una settimana concentratissima di inizio agosto.
Ne abbiamo seguito le ultime tre giornate, a partire dall’8 agostonella Birgit Nilsson-salen del recente e bellissimo Ravinen Kulturhus, con il saggio finale delle Master Class, che il Museo Nilsson organizza da circa un decennio, condotte da artiste svedesi di grande prestigio, come ora è stata Katarina Dalayman. Si sono ascoltate otto voci femminili, di varia nazionalità (prevalentemente svedesi, ma non solo) e da poco in attività. Ad accompagnarle, al pianoforte, Elisabeth Boström e Jacob Lidåkra. In questi casi, nel fare un bilancio critico si possono scegliere strade molteplici. La meno saggia è sempre quella dell’attesa rivelazione folgorante, la cui mancanza non deve mai essere motivo di delusione, perché la serietà, l’impegno, il fiducioso entusiasmo di chi si presenta sono tra i valori primari da considerare e rispettare. Nella fattispecie, dando atto, tra alti e bassi, di una apprezzabile qualità media con coraggiose ma non sempre pertinenti scelte di repertorio. Senza addentrarmi in un’inutile disamina di dettaglio, sulla base dell’istinto e dell’emozione del momento non posso fare a meno di segnalare almeno l’interessante sensibilità d’interprete rivelata dal mezzosoprano Sally Lundgren, voce molto personale dai colori sottilmente cangianti, che ha avvolto con calibratissima intensità una pagina (la quinta e ultima) del ciclo Canzoni in riva al mare, lavoro del 1942 di Gösta Nyström (già prediletto da una gloria del canto svedese quale Kerstin Meyer): splendida pagina evocativa ed essenziale, davvero in magica, piena sintonia con l’occasione.
La sera successiva, come di consueto l’antica chiesa di Västra Karup ha aperto il suo portale all’evento musicale centrale della manifestazione, il recital dell’artista destinatario dello “Stipendium”, quest’anno il soprano Matilda Sterby, attiva in Svezia e Germania soprattutto in ruoli mozartiani (Anna, Rosina, Fiordiligi), con l’aggiunta di Marenka, Micaela e, nel breve, Ellen Orford. Ma anche Puccini è nelle sue corde: un fortunato debutto è stato quello dello scorso aprile come Magda alla Volksoper di Vienna, e Mimì sembra calzarle a pennello: l’ha già portata sulla scena e ne ha offerto ora un saggio eloquente con un’esecuzione davvero accurata e intimamente sentita della romanza del primo atto. Qui, come pressoché in tutto il programma (presentato con tutta la sua competenza da Stefan Johansson), ha dimostrato di saper controllare una voce in sé doviziosa di armonici, corposa nel grave, caparbia nell’afferrare il passaggio all’acuto ma ancora più convincente nella pienezza rigogliosa e pastosa dei centri. La parte liederistica se ne è giovata, direi più in Korngold e Stenhammar che in Strauss (ma in Befreit ha colpito l’ampiezza dei fiati e in Cäcilie non è mancata la ricerca di sfumature, che, applicata in modo più costante, potrebbe arricchire non di poco il fascino del suo canto). Dunque, il bilancio è degno dell’appannaggio: Matilda Sterby ha mezzi, tecnica, e personalità già maturi per traguardi ambiziosi. Lo “Stipendium”, nell’intento di Birgit Nilsson, non è volto ad incoraggiare talenti, quanto piuttosto far sì che giovani professionisti di valore possano riflettere con scrupolo e libertà ed essere padroni della loro crescita, cosa oggi sempre più difficile. È il messaggio che Matilda Sterby sembra cogliere, con volitiva intelligenza. Certo, vedendone l’istintivo slancio che spesso l’accompagna, la sensazione è che l’attrazione verso caratteri di temperamento e una vocalità appassionata ed emozionale sia in lei un fatto connaturato (in fondo, non è stato difficile preferire il fervido coinvolgimento e l’espansione della “Canzone alla luna” di Rusalka rispetto alla correttezza un filo compassata dei due brani mozartiani). E qui mi piace riferire la risposta da lei data, nelle conversazioni dopo il concerto, su quale sia un suo modello, perché mai mi sarei atteso di sentire il nome di Magda Olivero, “stregata” dalla sua Risurrezione di Alfano… Affinità insospettate, ma intriganti e, in fondo, indicative e promettenti. Grandi applausi per l’artista e Matti Hirvonen, che l’ha premurosamente supportata con tutta la sua esperienza, facendosi anche ammirare in due pièces di Poulenc rese in modo vivido e vigoroso. E preziosissimo e commovente è il dono col quale si sono congedati: cosa meglio di “Tonerna” di Carl Sjöberg, bis d’elezione del grande Björling?
Infine, la sera del 10, eravamo oltre duemila nel Tennisstadion, scelto come sede per una conclusione festosa e il più possibile “corale” dei Birgit Nilsson Days. Lo sforzo organizzativo resosi necessario per attrezzare convenientemente un palco coperto è stato importante. Ma credo vi si possa leggere l’intento di rendere sempre più attrattive queste giornate senza snaturarne il carattere. Per la seconda volta l’opera è nel programma: lo scorso anno Tosca, questa volta Un ballo in maschera. Titoli emblematici della Nilsson “italiana”, in cui fu non meno memorabile rispetto ai “suoi” Wagner e Strauss. Puccini era stato all’aperto nella fattoria di Svenstad, ma passare allo stadio, altro luogo simbolo di queste felici contrade, soddisfa ragioni pratiche e poi, come s’è detto, Birgit vi cantò, giusto sessant’anni fa (certi “dettagli” qui contano …). Inevitabile la forma di concerto (ma non statica, con entrate, uscite, atteggiamenti gestiti quasi sempre con misura da Staffan Valdemar Holm), così come l’amplificazione, questa sì, purtroppo, in futuro da rimodulare nei decibel, qualora possibile. Quanto al cast, sulla carta non aveva nulla da invidiare a quelli di teatri di rango. E anche nelle sostituzioni all’ultimo resesi necessarie, la macchina si è mossa, è il caso di dirlo, con soluzioni diversamente provvidenziali e, in una, sul filo del rasoio. A dir poco lussuosa quella di Daniela Barcellona in luogo di Elizabeth DeShong. Nella sua evoluzione sempre più verdiana, il mezzosoprano triestino sa conservare tutta la sua compostezza di emissione e linea, delineando un’Ulrica sorvegliata nel gusto ma mordente nell’articolazione della parola, senza forzature né incertezze di fronte alla scabrosa tessitura. Altra presenza di spicco avrebbe dovuto essere quella di Michael Fabiano (Cavaradossi nel 2023), quarantenne americano piuttosto lanciato nel non troppo nutrito panorama tenorile odierno (in Italia, è apparso, tra l’altro, come Calaf a Roma e, da poco in Luisa Miller a Napoli). Ma all’inizio Susanne Rydén ha annunciato ciò che già era nell’aria, una laringite impediente che prudentemente aveva fatto accorrere da Madrid Sergio Escobar. Tutto risolto, allora? Non proprio, perché, come hanno insegnato i Fratelli Marx, l’opera e l’assurdo vanno a spesso a braccetto. Soltanto che non riesco a ricordare casi in cui il sostituto sia stato costretto a gettare la spugna, per poi essere rimpiazzato dal sostituito. Beh, almeno un atto si può sempre fare (ce lo conferma da lassù Birgit, che in una leggendaria sera al Met nel 1959 ebbe tre diversi Tristan, ma per decisione di compromesso già prestabilita: fattispecie diversa, dunque…). Così si sarà detto Fabiano, che ha comunque salvato lo spettacolo, ma l’elogio va a anche a Escobar, verosimilmente stremato da una vigilia di prove estenuante, ma, a quanto pare, conclusasi senza problemi. In questa situazione, non c’è quasi spazio per valutazioni critiche, in linea generale già ardue per condizioni di ascolto che riducono e spesso annullano i normali parametri di giudizio. Di Fabiano si è colta la notevole prestanza dei mezzi e della figura, ma con il sospetto di un’inclinazione verso una tenorilità da esibirsi ad effetto.
Tosca lo scorso anno, Joyce El-Khoury ha dato il meglio nei momenti di puro lirismo di Amelia (cantata anche a Chicago con Muti nel 2022), come la stupenda frase d’entrata risolta con un’arcata di suono legatissima, eterea e luminosa e, naturalmente, “Morrò, ma prima in grazia”, che però già porta i segni di un ruolo per il quale la cantante non appare completa. Frederick Zetterström è stato un Renato solido, tutto d’un pezzo, sempre a fuoco sulla nota e dalla dizione encomiabile. Nelle parti di contorno, si è fatto attenzionare il giovane basso Magnus Lindegård (Silvano). Infine, per la trentenne valenciana Marina Monzó basterebbe un aggettivo: incantevole. In questo caso, si dimentica la microfonatura, certi di non sbagliare. Voce limpida ma corposa e dai molti colori, perfettamente padroneggiata con disinvoltura ed eleganza, è stata un Oscar semplicemente irresistibile, scintillante, vitale e sfaccettato, psicologicamente costruito al di fuori di qualsiasi cliché. Si potrebbe dire che è ormai fin quasi troppo “importante” per la parte, ma vi si legga solo il segno di una maturazione che apre prospettive interessanti. Infatti, già nota in Italia soprattutto per l’attività svolta a Pesaro (è un felice esito dell’Accademia Rossiniana), sarà Violetta alla Fenice nella prossima stagione, appuntamento probabilmente da non perdere e per il quale sembra avere le carte in regola. Naturalmente, se tutto è andato in porto ne va dato merito alla presenza sul podio di Pier Giorgio Morandi (altro ritorno della passata Tosca), che ha sorvegliato l’insieme con autorevolezza e determinazione. La buona Symfonieorkester di Helsingborg gli ha risposto in modo puntuale, assecondandone il passo incalzante e l’intento di tenere sempre alta la tensione del discorso musicale. Ma un elogio tutto speciale va al coro, o, meglio, ai cori (curati da Mats Paulson), perché è prassi della manifestazione assegnare l’impegnativo compito unendo varie formazioni locali, in genere attive nelle chiese. Bellissimo gesto, perché tutto ciò che può fare comunità qui ha valore e fa dei Birgit Nilsson Days un’esperienza unica, davvero molto particolare.
Giorgio Rampone