
PROKOFIEV Guerra e Pace, Ouverture op. 91; Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in sol minore op. 16; Sinfonia n. 4 in do maggiore op 112 (seconda versione) pianoforte Alessandro Taverna Orchestra Sinfonica di Milano, direttore Andrew Litton
Milano, Auditorium Fondazione Cariplo, 16 marzo 2025
Era il 1913 quando Sergej Prokofiev eseguì per la prima volta a Pavlovsk, residenza estiva zarista situata vicino a San Pietroburgo, il suo Secondo Concerto per pianoforte per orchestra in sol minore, titanico, aspro, spigoloso, politonale che mal si adattava al luogo e al consesso borghese cui l’aveva proposto e che non mancò di scandalizzare. Da lì a essere bollato come incomprensibile e ineseguibile fu passo assai breve. Solo negli ultimi anni è entrato stabilmente (e giustamente!) in repertorio tant’è che si contano anche molte valide esecuzioni live e registrazioni discografiche. A ogni ascolto non si può che rimanere travolti dal flusso debordante di tanto rigoglio creativo.
E Alessandro Taverna conosce bene questo repertorio, così bene che il 10 aprile a Padova eseguirà in una sera l’integrale dei 5 concerti del compositore russo. Il pianista veneto ha affrontato il Concerto n. 2 con scrupolo e disciplina, lasciando emergere la sua carica esplosiva, ma trovando anche un efficace bilanciamento tra l’afflato post-romantico, le nuove sonorità percussive e il motorismo futurista di molte sue parti, in un giusto equilibrio tra muscoli e cuore. Senza dubbio il pianoforte domina la partitura, nota tra l’altro per essere una delle più ardue del repertorio, ma Taverna non ha mai imposto, diciamo così, la legge del più forte, lasciando invece spiccare con istinto e passione, ma sempre in totale controllo, le varie contrapposizioni con l’orchestra, per lo più per blocchi sonori. Il primo movimento è dominato da una impervia cadenza, dieci pagine fitte di musica che definire audaci è riduttivo e che l’autore porta al parossismo sonoro con indicazioni quali sforzati, fortissimi con tre f, fino ad un assai eloquente “colossale”. Il pianista ha mostrato tenuta tecnica, vigore e la potenza sonora necessaria, ma ha saputo anche enunciare con sobrio lirismo e una cantabilità mai esibita l’ampio e seducente tema che apre il movimento stesso.
Seguiva il vorticoso Scherzo, una febbrile toccata tirata a lucido, staccata non a rotta di collo e resa con bella sgranatura, fluidità e un legato brillante. La marcia lugubre che caratterizzava l’Intermezzo era avvolta in un clima beffardo e grottesco, ritmicamente implacabile e quasi soffocante; mentre l’Allegro tempestoso, con quell’inizio scoppiettante e sincopato in cui Taverna ha sbalordito per l’invidiabile padronanza nell’esecuzione dei micidiali salti che contraddistinguono il primo tema, giungeva ben presto al suo cuore emotivo (Meno mosso). Qui Prokofiev ha composto una nenia antica e desolata (che dominerà poi tutto il pezzo fino alla ricapitolazione finale), la cui resa ha palesato un solista che ha giocato le sue carte su un fraseggio sbalzato, poco interessato a bellurie timbriche. In definitiva il suo è stato un approccio audace e virile per una interpretazione sì drammatica, ma sempre disciplinata.
D’altronde in un pezzo del genere non ci si può certo permettere di farsi prendere troppo dall’emotività, perché una perdita di controllo sarebbe fatale. E in tal senso Taverna, che alla fine ha risposto alle numerose richieste di bis con una vertiginosa esecuzione della Toccata di Friedrich Gulda tratta da Play Piano Play, è stato ben coadiuvato dalla bacchetta di Andrew Litton, direttore newyorkese frequentatore abituale di questo repertorio, che ha saputo rendere la parte orchestrale con limpidezza, trasparenza e rigore ritmico, trasmettendo serenità sia al solista che all’orchestra.
In questo Tutto Prokofiev proposto nella stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano, il programma proseguiva con la Sinfonia n. 4 in do maggiore, non certo la più nota tra le sette del compositore russo. Anche questo lavoro fu mal recepito da pubblico e critica. Lo stesso committente e direttore della première a Boston nel 1930, Serge Koussevitzky, ne criticò l’impianto tematico, a parer suo eccessivamente basato su materiali del balletto Il figliol prodigo. Ciò è vero solo in parte, in quanto gli autoimprestiti, oltre a non essere così numerosi, vengono presentati in una nuova veste espressiva e non sono così decisivi come, ad esempio, nella precedente Terza (imperniata sull’Angelo di Fuoco).
All’Auditorium la sinfonia è stata eseguita nella sua seconda versione, di vent’anni successiva, più ampia e sofisticata. Litton ha messo in mostra un invidiabile aplomb nel dipanare la matassa dell’esuberanza motivica di questa pagina, puntando su leggibilità, immediatezza e brillantezza. Anche l’equilibro fonico tra le sezioni dell’orchestra è parso bilanciato (anche se l’Ouverture di Guerra e Pace che ha aperto il programma è stata invero un po’ chiassosa). Non è mancata sensibilità nella restituzione della meravigliosa e avvolgente melodia principale dell’Andante tranquillo, il secondo movimento della sinfonia, né tantomeno arguzia e un po’ di malizia nel Moderato, quasi allegretto che seguiva. Il Finale poi, sempre tenuto sotto ferrea disciplina ritmica, ha sprigionato un’euforia davvero contagiosa che ha elettrizzato l’attentissimo pubblico presente.
Massimo Viazzo
Foto: Angelica Concari