PUCCINI Tosca F. Tiburzi, V. Costanzo, F. Longhi, L. Leoni, D. Colaianni, P. Picone, D. Filipponi, C. Bonelli; Coro del Teatro Ventidio Basso, FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore Giovanni Di Stefano regia Renata Scotto ripresa da Renato Bonajuto scene Michele Olcese costumi Artemio Cabassi luci Andrea Tocchio
Rete Lirica delle Marche, Teatro della Fortuna di Fano, 2 dicembre 2023
Se c’è un’opera con cui si può andare proprio sul sicuro questa è Tosca: la trama è coinvolgente e tiene lo spettatore attaccato alla poltrona con una suspence di altissimo livello, la musica immediatamente comunicativa e in grado di colpire alla pancia del pubblico con altissimi livelli di emotività, a dispetto della raffinata struttura compositiva (non sempre riconosciuta da chi a Puccini rimproverava di essere troppo facilone e superficiale)… insomma, un’opera che, al botteghino, è garanzia di successo, così come ha confermato la recita fanese della Rete Lirica delle Marche, con un teatro pieno e coinvolto, prodigo di applausi per tutti gli artefici della produzione. Particolarmente festeggiata (meritatamente) è stata la protagonista, Francesca Tiburzi, accorsa a sostituire l’indisposta Monica Zanettin (titolare delle recite ad Ascoli Piceno e Fermo), che si è calata nell’allestimento con notevole souplesse e una bella prova vocale, a suo agio tanto nei dialoghi da donna innamorata che nei drammatici scatti del secondo atto. Al suo fianco è stato apprezzato il Cavaradossi giovanile e prestante di Vincenzo Costanzo, un po’ trattenuto al primo atto ma assai coinvolgente nell’addio alla vita del terzo, così come un buon successo personale è stato riscosso dallo Scarpia di Federico Longhi, di cui è parso apprezzabile il ricorso a un gusto sorvegliato in un personaggio che spesso rischia di scadere a semplice macchietta. Ben scelti gli interpreti dei ruoli minori. Sul podio della Form – Orchestra Filarmonica Marchigiana si è apprezzata la direzione di Giovanni Di Stefano, che ha ottenuto sonorità sempre a fuoco e una notevole precisione di esecuzione, cercando di non sovrastare mai le voci e, soprattutto, fornendo un notevole supporto alla prova della Tiburzi. Quanto allo spettacolo, con regia della compianta Renata Scotto ripresa per l’occasione da Renato Bonajuto, si è svolto nel segno della più classica delle tradizioni, con il difetto dato dalla semplicità invero eccessiva di un impianto scenico sicuramente utile per una produzione itinerante come questa, ma nondimeno non sempre evocativo delle particolari atmosfere romane del capolavoro pucciniano (a parità di semplicità scenografica si era dimostrato ben altrimenti suggestivo il Macbeth con regia di Pizzi che aveva inaugurato la Rete Lirica delle Marche lo scorso anno). Il pubblico, in ogni caso, non se n’è certo fatto un cruccio, salutando con applausi festosi tutti i protagonisti.
PUCCINI La rondine C. Pavone, M. L. Iacobellis, M. Falcier, V. Solodkyy, F. Verna, G. Marcello, M. Siesto, T. Corvaja, B. Corti, S. Bayoz, M. Mazzanti; Coro Arché, FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore Valerio Galli regia Paul-Émile Fourny scene Benito Leonori costumi Giovanna Fiorentini luci Patrick Méeüs
Teatro G.B. Pergolesi di Jesi, 56° Stagione Lirica di tradizione, 17 dicembre 2023
Il migliore omaggio da fare a un compositore quando arriva una data celebrativa (in questo caso i cento anni dalla morte di Puccini del 2024) è arrivarci non solo preparati, ma magari cogliere l’occasione per proporre al pubblico qualcosa di nuovo e mai ascoltato uscito dalla penna di quel compositore che si intende omaggiare: al posto dell’ennesima Bohème o dell’ennesima Butterfly la Fondazione Pergolesi Spontini ha deciso di chiudere la sua 56° Stagione Lirica con la proposta, per la prima volta nello storico teatro jesino, de La rondine, negletta sorella minore a lungo, e a torto, considerata un’opera mancata. Siccome l’ultima parola dovrebbe sempre passare all’esecuzione, in questo caso ci ha pensato la direzione di Valerio Galli, a capo di una Form in ottima serata, a dimostrare che l’opera è tutt’altro che mancata ma che, al contrario, è un prodotto di estrema e assoluta raffinatezza, ricco di spunti memorabili, in grado di divertire e far riflettere il pubblico: una gran bella direzione, la sua, con scelte di tempi sempre azzeccate e un bel controllo delle sonorità, che anche nei fortissimi del secondo atto non si sono mai trasformate in confusione. La versione eseguita è stata la prima, quindi senza l’aria di Ruggero nel I Atto e senza il “nuovo” finale con Magda abbandonata dal suo amante, mantenendo la lettera della madre di Ruggero con la decisione di Magda di lasciare, invece, lei l’uomo: la scelta è parsa condivisibile non solo perché in linea con quelle che, stando almeno ai documenti che ci sono pervenuti, corrisponde al desiderio di Puccini, ma anche perché si sposava perfettamente con la suggestione dello spettacolo di Paul-Émile Fourny, che ha ambientato l’intera vicenda in un teatro in rovina, un non-luogo simbolico ed evocativo, con Magda che entra in scena (e la lascia) accompagnata dall’aprirsi e dal calare di un sipario; si è trattato di un allestimento di garbata modernità, d’effetto quanto basta per suggerire il clima nostalgico e di rimpianto che permea l’intera partitura, con particolare menzione per il tramonto del terzo atto. Affiatato anche il cast vocale, in grado soprattutto di fraseggiare con la delicatezza e lo spirito necessari: bravissima Claudia Pavone, una Magda ironica e seducente, a suo agio tanto nella Canzone di Doretta che nell’ostico finale. Bene anche la Lisette arguta di Maria Laura Iacobellis, al pari del Ruggero di Matteo Falcier e del gelido Rambaldo di Francesco Verna. Una lode particolare la merita il tenore ucraino Vassily Solodkyy, cui era affidato il ruolo forse più difficile di tutti per un non madrelingua, quello del poeta Prunier, da Solodkyy risolto con notevole eleganza. Ben scelti, infine, i ruoli minori. Pubblico divertito e prodigo di applausi (il concertato del II Atto ha praticamente fermato lo spettacolo ed era evidente che sul palcoscenico ci si stava consultando per un eventuale bis), soprattutto entusiasta, dai commenti registrati all’intervallo e al termine dello spettacolo, di scoprire un’opera che non conosceva.
Gabriele Cesaretti