Ottima prova di Mariangela Vacatello nel Concerto di Schumann
WEBERN Im Sommerwind, Idillio per grande orchestra SCHUMANNConcerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 ELGAR Sinfonia n. 1 in la bemolle maggiore op. 55 pianoforte Mariangela Vacatello Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, direttore Robert Trevino
Torino, Auditorium Rai «Arturo Toscanini», 18 marzo 2022
Il pubblico dell’Auditorium «Toscanini» attendeva con trepidazione il debutto di Hélène Grimaud con l’Orchestra Rai; pertanto non sono stati in pochi a rimanere delusi nell’apprendere, come si è potuto leggere nel comunicato, dell’indisposizione della pianista francese, che pertanto all’ultimo ha dovuto rinunciare. Ma può anche capitare che la sostituta non faccia rimpiangere la sostituita; anzi, a dirla tutta, l’impressione è che Mariangela Vacatello, finalista al Van Cliburn e secondo premio al Busoni, più della Grimaud (forse soprattutto della Grimaud un po’ più giovane) sappia disciplinare le proprie doti musicali e soprattutto la propria talvolta palpabile emotività – va detto che per la Vacatello si è trattato in questo caso di una vera e propria chiamata last minute, alla quale ha risposto con prontezza e grande professionalità – restituendo al pubblico un’esperienza musicale che ha il gradevole sapore dell’artigianale, nel senso più nobile, e che a conti fatti ci pare veramente convincente, confermando l’artista napoletana tra le più interessanti pianiste italiane del momento. Ci torneremo.
Come da programma, la serata si è aperta nel segno di uno tra i più quotati giovani direttori d’orchestra in circolazione, l’americano Robert Trevino, classe 1984, che ha debuttato su questo palco tre anni or sono. Trevino ha dato buona prova per tutta la serata, a partire dalle battute iniziali del giovanile poema sinfonico di Anton Webern, “idillio per orchestra” intitolato Im Sommerwind (nel vento estivo), frutto di un soggiorno in Carinzia. Si tratta di una composizione la cui articolazione potrebbe talvolta suggerire l’esperienza e la visione di un’estate dai contorni turbolenti, ma l’incontro destinato a modificare l’estetica del compositore in una direzione tonale e strutturale di rottura (mi riferisco naturalmente all’incontro con Schönberg) doveva ancora arrivare, ciò che farà del musicista austriaco uno dei cardini della Seconda scuola di Vienna; e difatti questo brano è sostanzialmente debitore più di Wagner e Richard Strauss che di quel che verrà in un futuro qui non ancora presagito, o presagito a malapena. Il brano weberniano è stato seguito da quello che era certamente il momento più atteso della serata: protagonista il celebre concerto di Schumann, che mancava all’Auditorium Rai dal maggio 2014 (solista Pletnev insieme all’allora direttore principale dell’OSN Juraj Valčuha). E qui torniamo a Mariangela Vacatello: quello della pianista napoletana è un pianismo certo molto duttile, atletico ma non muscolare, l’affondo denso (a partire dai momenti iniziali, come nella splendida cavalcata in cui Schumann pare quasi presagire il Secondo concerto di Rachmaninov), niente lasciato al caso, nulla fuori misura. Con questo non vogliamo certo dire che la Vacatello si limiti a fare i compiti a casa, tutt’altro, anzi ricolloca nelle giuste proporzioni quanto talvolta (o forse sovente?) viene da altri interpreti non opportunamente inquadrato, sottolineando la struttura e le linee per mezzo di una tecnica irreprensibile e un controllo generalmente molto sicuro. Nel bis concesso alle insistenze del pubblico, la Vacatello ha eseguito, così perlomeno nella serata di venerdì, il decimo dei lisztiani Studi trascendentali (Allegro agitato molto, in fa minore) in cui a risaltare sono state innanzitutto le sue inclinazioni virtuosistiche.
L’ultimo atto della serata è consistito nell’esecuzione della Prima sinfonia di Elgar, compositore di cui si fece promotore un celeberrimo direttore d’orchestra del XIX secolo, Hans Richter, suo primo interprete nonché dedicatario dell’opera. Si tratta di una sinfonia per grande orchestra la cui prima, lunga sezione somiglia un po’ all’epoca e al contesto in cui l’autore visse, quell’Inghilterra non più vittoriana ma edoardiana, che tuttavia rappresentava ancora il trionfo del colonialismo britannico (ed europeo più in generale) caratterizzato da un’ottimistica visione della propria superiorità sul resto del mondo, all’epoca dello “splendido isolamento” di Londra; ora, dobbiamo confessarlo al lettore, Elgar non è un compositore che chi scrive ama particolarmente; ma siamo altresì lieti di poter affermare che Trevino ne ha eseguito la musica in un modo tale da, se non proprio farci tornare sui nostri passi, fornirci un accesso più credibile rispetto a quanto precedentemente eravamo abituati, dandoci la sensazione di esser riuscito a trarre da quella musica più di quanto la stessa non abbia effettivamente da dire. Del resto, si parva licet componere magnis, è celebre l’episodio in cui Wagner arrivò quasi a dubitare di Beethoven, ascoltando quelle che giudicò delle assai deludenti interpretazioni della Nona sinfonia, a dimostrazione dell’importanza di una corretta interpretazione. In ultima analisi, Trevino è un direttore che ci pare meriti il successo che sta ottenendo.
Desideriamo tuttavia concludere, e si tratta di un qualcosa che sentivamo di dover fare da tempo, con una postilla in lode del maestro Ranfaldi, che da tanti anni il pubblico Rai ha modo di apprezzare nella veste di violino di spalla dell’orchestra. Ranfaldi è artista dotato di un’autorevolezza palpabile, come traspare presso gli orchestrali nel momento in cui fa il suo ingresso in scena; ed è musicista assai versatile e dotato di non comune musicalità, densità di suono, incisività, al punto che, ne sono convinto, potrebbe rivestire egregiamente il medesimo ruolo in tutte le maggiori orchestre del mondo.
Marco Testa
Credits: PiùLuce/OSN Rai