BANFIELD Colloquio col tango su libretto di C. Terron; con Jadranka Jovanović e la partecipazione di Samuele Fragiacomo e Andrea Binetti pianoforte Elia Macrì regia Tommaso Tuzzoli scene Pier Paolo Bisleri costumi Chiara Barrichello luci Mau Willy Tell
Trieste, Palazzo della cultura mitteleuropea, Sala Beethoven, 1° giugno 2022
Figlio del barone Goffredo de Banfield, asso dell’aviazione austroungarica e della Contessa Maria Tripcovich (è il nome della storica società di navigazione), Raffaello de Banfield (1922-2008) è stato figura di spicco nella tradizione culturale ed imprenditoriale triestina, testimone e protagonista nella vita musicale del dopoguerra. Nel centenario della nascita di questo musicista europeo, per oltre un ventennio direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste e per alcuni anni del Festival dei Due Mondi accanto a Gian Carlo Menotti, è stata promossa nel Palazzo, già sede del Goethe Institut, tutta una serie di manifestazioni. Oltre a ricordare la figura del compositore e la sua vivacità culturale, ricca di mitiche frequentazioni artistiche e mondane, l’iniziativa rende omaggio al gentiluomo cui il Verdi deve in certo senso la stessa sopravvivenza all’inizio degli anni Sessanta. Grazie infatti al decisivo contributo del barone il teatro (che avrebbe dovuto tassativamente chiudere per ristrutturazione), si era dotato di una struttura sostitutiva, avendo trasformato in una splendida sala teatrale il capannone dismesso della stazione autocorriere: l’impresa realizzata quasi prodigiosamente nel giro di pochi mesi sotto la sovrintendenza di Giorgio Vidusso aveva fatto sensazione, tanto da meritarsi gli onori del Premio Abbiati. (Che poi il Comune abbia adesso deciso di demolire la Sala Tripcovich… è un’altra storia). Tra concerti, un convegno e una mostra, la rassegna ha intanto riproposto in forma scenica nella Sala Beethoven l’atto unico di Banfield Colloquio col tango, presentato nella versione con pianoforte.
Tratta da una pièce di Carlo Terron (noto anche con il secondo titolo “La formica”) cara al repertorio di Paola Borboni e di Lina Volonghi, andò in scena come opera a Como (Villa Olmo) nel 1959, protagonista Augusta Oltrabella. E da allora è stato il titolo più fortunato del compositore insieme con Una lettera d’amore di Lord Byron e con il balletto Le Combat coreografato da Roland Petit. È un colloquio a due voci, ma sostanzialmente un monologo sulla solitudine: quella di una cantante ex gloria del Varietà, che consuma il proprio rancore per l’ex partner e amante. L’unica compagnia che può ancora concedersi, oltre ai ricordi ed alle illusioni, è quella a pagamento, di un gigolò commissionato al telefono a una ruffiana. Banfield filtra nella sua drammaturgia e nella finezza della sua musica le esperienze vissute in presa diretta tra Broadway e Parigi negli anni cinquanta e ne estrae una nervosa, mobilissima eleganza tutta graffi e carezze sulla sensuale malinconia del tango. Poulenc (non soltanto per la coeva Voix humaine) è l’ovvio riferimento in quel frammentarsi continuo del discorso tra orgogliose impennate vocali e sfuriate di parlato, bruschi scarti tonali e di registro, reminiscenze, risentimenti, fantasmi sul degradato viale del tramonto di una diva nel solitario colloquio di rimpianti con la voce di un disco, con l’“amor de mi alma” al quale può ormai dire (come all’ultima battuta) “Canta, canta, porco!”. Numero di bravura per attrice, lo è ancor di più (in una scrittura musicale di fitta, umorale articolazione sulla parola) per una cantante lirica, e maggiormente per un mezzosoprano dalla voce ancora importante e addirittura sontuosa come quella di Jadranka Jovanović. Con lo charme statuario della sua personalità e del divismo frustrato del personaggio, la cantante serba investe la scena come una leonessa in cattività: una gabbia che la regia di Tommaso Tuzzoli trasforma in intrigante boudoir anni cinquanta da Kammerspiel, dove l’invisibile del passato si materializza nella figura del tanguero (Samuele Fragiacomo). Mentre il passato – quello dell’amante – è rimasto nelle tracce del disco cui dà voce Andrea Binetti. Il complesso ordito musicale dell’opera si affidava con incisive corrispondenze dinamiche al pianoforte di Elia Macrì. Una rivelazione anche la riscoperta della norimberghista Sala Beethoven, restaurata e trasformata in un teatro di duecento posti nell’ex Palazzo Eintracht, ora Palazzo della cultura mitteleuropea. Successo entusiastico per la protagonista e per lo spettacolo. A festeggiare così con affetto i cent’anni di Raffaello de Banfield.
Gianni Gori
Foto: Michela Porta