VERDI Falstaff N. Alaimo, S. Piazzola, A. Pérez, S. Mingardo, C. Piva, F. Boncompagni, M. Swensen, C. Collia, G. Buratto; Orchestra e Coro del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, direttore Sir John Eliot Gardiner regia Sven-Eric Bechtolf scene Julian Crouch costumi Kevin Pollard luci Alex Brok
Firenze, Teatro del Maggio Musicale, 23 novembre 2021
Alla fine i sir John, protagonisti del Falstaff del Maggio Musicale Fiorentino, erano due baronetti. Sir John Falstaff, alias Nicola Alaimo e Sir John Eliot Gardiner, alias il mattatore.
Cominciamo dalla fine. Bis della Fuga finale e tutti gabbati dal gentilissimo signore che in un attimo riapparecchia la buca e riaccende gli animi in sala… Tutto nel mondo è burla…
E di burla, di scherno, di divertimento, di satira, di allegria l’altra sera ce n’è stata proprio tanta, in palcoscenico e in sala. Gli interpreti hanno vissuto i loro ruoli da veri e propri esegeti dei loro personaggi, immedesimandosi nelle proprie azioni e definendosi oltre ogni limite, in sala si son sentiti spesso sghignazzi partecipi. Tutto a comporre una magnifica commedia lirica, un’opera comica che non somiglia a nessun’altra, per dirla con Arrigo Quattrocchi che firma il prezioso intervento riportato nel programma di sala.
Che lo stesso Verdi, nonostante avesse più d’una volta espresso il desiderio di comporre un’opera buffa, non ci credeva mica tanto. Scriveva a Boito, il librettista, da Montecatini nell’estate 1989: «Voi, nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme dei miei anni?». Fatto sta che egli riuscì nell’impresa e anzi la seguì per il tempo sufficiente a farne il capolavoro compiuto che oggi è. Perché Falstaff è prima di tutto un’opera contemporanea, un’opera al di fuori del tempo. Il suo linguaggio, testuale e musicale, sono pensati per una perfetta simbiosi con la lingua contemporanea, oltrepassano i termini, superano l’obsolescenza. La versificazione del linguaggio testuale, le allitterazioni, i versi sdruccioli e i termini desueti non sono lignaggio del passato ma un vero e proprio tuffo nel presente che ci fa stringere i denti alla pronuncia, ci strappa un sorriso al suo ascolto.
Niente è lasciato al caso. E la musica è complice essenziale di questo magnifico progetto, è rivoluzione della forma comica, è interlacciarsi di forme, della forma sonata con la fuga, anticipando di trent’anni Alban Berg che costruirà Wozzeck interamente sulla successione di forme musicali.
Ė in questo e per questo che la lettura di Sir John Eliot Gardiner si fa estremamente chiara e trasparente, è nei colori ruvidi e essenziali della partitura che rivela ogni suo dettaglio, lo descrive, lo esprime. Gardiner è sempre in tempo, anticipa e prepara ogni variazione, non rimane nemmeno un istante su quanto appena svelato. Ė così che suona il Falstaff!
Sir John, quello vero, quello che in palcoscenico ne indossa i panni e si trasmuta in lui, è un Nicola Alaimo per il quale non bastano le parole. Ė una perfetta sintesi fra colui che lo interpreta e il personaggio. Ha tutto per essere il miglior Falstaff vivente e non lo nasconde. La sua voce, così piena di accenti e di intenzioni, ha l’intera tessitura in gola. Ha i gravi e ha gli acuti, ha i declamati inariditi dal vino di Jerez e i recitativi sottili, sottili, sottili, come il paggio del Duca di Norfolk.
A rappresentare questo Falstaff è stato chiamato alla regia Sven-Eric Bechtolf, che questa volta (dopo il deludente Così fan tutte) centra l’obiettivo. Racconta la vicenda in modo essenziale, ma facendo leva su toni emotivi che coinvolgono facilmente. Dà il giusto risalto alla parentesi sentimentale del sonetto di Fenton senza trascurare gli strabordanti assiemi del secondo atto, risolve elegantemente i contrasti della partitura senza alcuna genialità, ma sempre con buon senso della misura. Fa cantare i cantanti, quasi sempre, sul proscenio, rivolti alla platea. Usa le competenze dei suoi collaboratori nel modo più efficace e quindi lo spettacolo è ben illuminato dalle luci di Alex Brok, sono buone le scene di Julian Crouch, ottimi i costumi di Kevin Pollard.
In palcoscenico c’è solo da distribuire elogi. Per l’importante presenza di Simone Piazzola, Ford, e per le splendide voci di Ailyn Pérez, Sara Mingardo e Caterina Piva, rispettivamente Alice, Mrs. Quickly e Mrs. Page; per il confortante contributo di Christian Collia, Antonio Gares e Gianluca Buratto, Dr. Cajus, Bardolfo e Pistola; per l’esiguo ma precisissimo Fenton di Matthew Swensen e per la brava Francesca Boncompagni, una Nannetta da ricordare.
L’orchestra del Teatro del Maggio Fiorentino ha eseguito il compito nel migliore dei modi, valorizzando le intenzioni del direttore, mentre Lorenzo Fratini ha presentato il Coro, pur qui poco impegnato, nel migliore dei modi.
Davide Toschi
Foto: Michele Monasta / Maggio Musicale Fiorentino