STRAUSS Ariadne auf Naxos K. Stoyanova, S. Gould, E. Morley, R. Frenkel, M. Werba; Orchestra del Teatro alla Scala, direttore Michael Boder regia Sven-Eric Bechtolf scene Rolf Glittenberg costumi Marianne Glittenberg
Milano, Teatro alla Scala, 15 aprile 2022
È la luce il tema conduttore dell’Ariadne auf Naxos secondo il regista Sven-Eric Bechtolf, nell’allestimento in scena in questi giorni al Teatro alla Scala, realizzato nel 2012 per il Festival di Salisburgo e ripreso a Milano da Karin Voykowitsch, dopo un passaggio a Vienna nel 2014. Nel prologo entra dall’enorme vetrata sullo sfondo del palcoscenico, dietro alla quale si intravvedono gli alberi di un giardino lussureggiante, illuminando l’ampio salone della casa aristocratica — non siamo nel Settecento immaginato da Strauss ma nel primo Novecento — in cui si svolge questa stravagante vicenda di teatro nel teatro, piena di allusioni, citazioni e provocazioni ma soprattutto piena di vita. Questa vitalità è il filo conduttore della regia di Becthtolf, colta e insieme leggera, capace rendere credibili i personaggi anche attraverso i movimenti e la recitazione. Nell’unico atto che segue il prologo la luce appare meno vivace, con curiosi effetti di riverberi ed ombre sulle rovine dei quattro enormi pianoforti a coda in primo piano sul palcoscenico, mentre sullo sfondo vediamo il pubblico degli ospiti del padrone di casa che assiste, un poco annoiato, alla vicenda, in una sorta di specchio del pubblico reale presente in sala.
I pianoforti abbandonati in scena alludono naturalmente all’abbandono di Arianna sull’isola di Nasso e forse, nelle intenzioni del regista, simboleggiano il tramonto della cultura dell’Occidente che Hugo von Hofmannsthal, autore del libretto, e Richard Strauss hanno voluto rappresentare in un’opera iper-colta e tutta rivolta al passato. In Ariadne auf Naxos, però, la nostalgia del Settecento perduto che dominava il Rosenkavalier si traduce nella vitalità irriverente delle maschere della commedia dell’arte e della figura di Zerbinetta, che perturbano e rivitalizzano il mito tragico di Arianna. È proprio Zerbinetta la vera forza motrice dello spettacolo di Bechtolf, perché non soltanto aiuta Arianna a ritrovare la forza di vivere accogliendo un nuovo amore, quello del dio Bacco, secondo quanto immaginato da Hofmannsthal e Strauss, ma riesce anche a strappare il Compositore alla sterile purezza del mondo ideale per costringerlo a fare i conti con l’impurità feconda della vita, come rivela il loro tenero bacio in chiusura di sipario.
Al felice esito della serata ha contribuito un cast di prim’ordine, in cui svettava l’Ariadne del soprano bulgaro Krassimira Stoyanova, sontuosa nel lungo duetto conclusivo con Bacchus e raffinata in tutta l’opera. La voce morbida e vellutata e l’emissione priva di incrinature sono rimaste immuni dal trascorre del tempo, perché sorrette da una tecnica di primordine, come dimostrano la sicurezza dell’intonazione e l’assenza di vibrato. Se sul piano drammaturgico lo spettacolo ruota intorno alla Zerbinetta della giovane Erin Morley, deliziosa e impeccabile nel celebre rondò, affrontato con naturalezza e senza dare troppa enfasi alle colorature, al contrario sul piano vocale gravita proprio intorno alla Stoyanova. È così inevitabile che il possente Bacchus di Stephen Gould, “Heldentenor” dalla vocalità piena e tonante ma un po’ troppo fissa nel timbro, ingessata nel fraseggio e a tratti con qualche problema di intonazione, palesi i suoi limiti nel confronto con il velluto della voce e il fraseggio sciolto e seducente del soprano bulgaro. È stato convincente ma non memorabile il soprano Rachel Frenkel nel ruolo “en travesti” del compositore, mentre era elegante e composto l’Arlecchino del baritono Rafael Fingerlos, entrambi subentrati nella prima recita agli indisposti Sophie Koch e Samuel Hasselhorn. Si sono ben inseriti nel gioco scenico e vocale tutte le parti di contorno, che in realtà in un’opera tanto sfaccettata di contorno non sono, compreso il maggiordomo (ruolo solo parlato) dell’attore Gregor Bloéb.
In buca il navigato Michael Boder, al suo debutto scaligero, ha diretto senza particolari guizzi però con attenzione, lasciando spazio alle voci e trovando le giuste alchimie timbriche, anche se la problematica acustica della Scala ha messo un po’ in crisi gli equilibri dinamici di una partitura in cui convivono asciutte linee neoclassiche e slanci ancora tardoromantici e wagneriani, affidati paradossalmente ad un organico cameristico; nel prologo l’orchestra aveva la giusta levità e la trasparenza, ma nel prosieguo Boder ha puntato su un maggiore spessore timbrico, come dimostravano gli interventi puntuali e incisivi dei corni.
La regia di Bechtolf mette lo spettatore di buon umore e qualità complessiva di questo allestimento scaligero è più che soddisfacente. Così per quanto Ariadne auf Naxos sia un’opera che lascia molti interrogativi senza risposta, il pubblico della Scala alla fine ha preferito partecipare alla festa della vita messa in scena per ben due volte, attraverso il gioco di specchi del teatro nel teatro, e si è lasciato andare agli applausi. Lunghissimi e convinti, per tutto il cast.
Luca Segalla
Foto: Brescia / Amisano – Teatro alla Scala