ROSSINI Il barbiere di Siviglia J. Swanson, J. Fardilha, M. Albano, A. Žilikovskij, M. Mimica, L. Battagion, L. Cherici, R. Mattiotto, A. Deichmann; Orchestra e Coro del Teatro Regio, direttore Giuseppe Finzi regia Vittorio Borrelli scene Claudia Boasso costumi Luisa Spinatelli
Torino, Cortile di Palazzo Arsenale, 11 settembre 2021
«A Difesa della Cultura» era il motto ambizioso all’insegna del quale era stato lanciato il “Regio Opera Festival” nell’inedita sede del Palazzo dell’Arsenale. Restando nella metafora militare, arrivati alla conclusione, si può confermare che la battaglia è stata vinta con buon margine. La stagione è stata lunga, articolata nelle proposte, “popolare” senz’altro nella scelta dei titoli lirici (ma non solo, se si pensa all’opportunità data di familiarizzare con il “genere” dell’intermezzo, Pergolesi e Telemann, quest’ultimo per la prima volta in scena a Torino con un’opera teatrale), con esecuzioni complessivamente di livello apprezzabile e non senza sorprese. Sul versante tenorile, per esempio, dopo il poetico, aggraziato Nemorino di Bogdan Volkov e lo smagliante, ardente Canio di Jonathan Tetelman, l’attesa era per un altro giovane emergente, l’americano Jack Swanson, reduce da una serie di impegni al Festival di Pesaro. Alla luce di quanto si è ascoltato in occasione di questo Barbiere di Siviglia, si può confermare che il repertorio rossiniano ha trovato un altro artista su cui poter contare, almeno potenzialmente. Il suo riferimento sembra essere quello virtuosissimo di Rockwell Blake, nell’incisivo mordente delle agilità (che però tendono ad essere aspirate) e nell’ardimentoso slancio verso il registro acuto (molto esibito), ma anche nella qualità del timbro, un po’ ingrata, con emissioni schiacciate e gutturali. In verità, rispetto al modello, molto appare da perfezionare, non ultima l’espressività auspicabile per il recitativo, dove Blake ha lasciato un segno memorabile, proprio qui a Torino. Un Almaviva ancora un po’ troppo “americano”, non solo nella pronuncia, ma anche nel gusto (il tono querulo del «Pace e gioia» è d’obbligo, ma qui era caricato oltre misura). Le premesse peraltro sembravano avviarlo ad un «Cessa di più resistere» interessante, che inaspettatamente è stato omesso, non per volontà dell’artista, ma per scelta del teatro, alla luce del contesto. Certo, pochi se ne saranno accorti, c’era aria di pubblico nuovo, in queste serate finalmente di sold out e con molti giovani. E quindi, vediamola in positivo. E poi, puntare su artisti emergenti, come è stato fatto anche nei precedenti spettacoli, ha pagato. Tra questi, Andrej Žilikovskij ha incarnato perfettamente Figaro sul piano dell’esuberanza, della vitalità, del dinamismo. La voce lo aiuta, perché ben timbrata, solida, con acuti facili anche se non sempre ben calibrati (specie nella cavatina), si destreggia decorosamente nella coloratura, ma come fraseggiatore è più spigliato che sfaccettato. Miriam Albano ha delineato una Rosina spiritosa e cantata sempre con molta diligenza, talora un poco datata in certe soluzioni nelle cadenze, forse anche in conseguenza di una vocalità dal carattere un po’ ondivago, che copre solo in parte la gamma richiesta, in ogni caso più a suo agio nella zona medio alta, nitida e sicura. A Basilio ha reso giustizia Marko Mimica, senz’altro adeguato per colore e ampiezza sonora, la cui interpretazione potrebbe essere utilmente completata e arricchita da un’emissione meno rigida e da un fraseggio più personale e studiato.
Quanto a José Fardilha e Laura Cherici, pur tra alti e bassi in termini di canto, non difettavano certo dell’esperienza e dell’intelligenza per caratterizzare in modo gustoso, divertente e realistico i loro personaggi, che il pubblico si è giustamente goduto. Da segnalare anche l’apprezzabile contributo di Lorenzo Battagion quale Fiorello, mentre Riccardo Mattiotto ha impersonato l’Ufficiale e il mimo Alberto Deichmann ha dato il massimo per realizzare l’Ambrogio decrepito e rimbambitissimo voluto dal regista Vittorio Borrelli, in uno spettacolo che il Regio propone dal 2007. Una produzione agile, ogni volta ricreata con abile mano teatrale, ma dal discutibile taglio farsesco e caricaturale, con gag e controscene stereotipate che ripropongono una concezione di questo lavoro che continua ad apparire francamente cosa d’altri tempi. Da lodare infine, la prova dell’orchestra e del coro (guidato da Andrea Secchi), che ancora una volta hanno dimostrato di volersi tener lontani dalla routine. E’ stato un Barbiere dalle sonorità terse e levigate, governato con molto equilibrio sotto il profilo ritmico, quello ottenuto dagli eccellenti strumentisti da Giuseppe Finzi, distintosi anche al fortepiano per accompagnamenti veramente originali, ricchi di verve ed ironia, qua e là inframmezzati da fugaci citazioni mozartiane, con un contributo che ha impreziosito la qualità musicale dell’insieme.
Giorgio Rampone
(Foto: Andrea Macchia)