MOZART Die Zauberflöte (Il flauto magico) L. Bernad, M. Desole, C. Feola, E. Bono, S. Mchedlishvili, K. Howarth, J. Park, B. Mezzanotte, S. Rocchi, I. Silvestrelli, C. Piergiacomi, E. Saltari, M. Olivieri, D. Rizzo Marin, A. Giovannini, G. Medici; FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana, Coro del Teatro della Fortuna “M. Agostini”, direttore Gaetano d’Espinosa regia Francesco Calcagnini progettazione scene, luci e video Accademia di Belle Arti di Urbino
Fermo, Teatro dell’Aquila, 29 ottobre 2016
Che Il flauto magico sia difficile non ci piove; che si presti a svariate letture e interpretazioni – che ne possono evidenziare di volta in volta il carattere fiabesco o massonico secondo le inclinazioni degli interpreti di turno – anche; che resista a ogni approccio, infine, mi pare pure abbastanza scontato. Ha resistito, il capolavoro mozartiano, anche al grigiore del nuovo allestimento della Rete Lirica delle Marche, visto a Fano, Ascoli e Fermo e da chi scrive osservato proprio in quest’ultimo teatro. Non che mancassero le idee, nella lettura visiva di Calcagnini, ma la monocromia dello spettacolo, l’uso di una simbologia non sempre di chiara e/o immediata lettura (perché mai i tre fanciulli sembravano rimandare al Joker di Batman?) e la scena sostanzialmente fissa per tutta la durata dell’opera non hanno evitato una certa sensazione di noia e di eccessiva severità, lasciando purtroppo in ombra il lato più fiabesco di questo capolavoro così sfuggente e inafferrabile. Meglio sono andate le cose dal punto di vista musicale, innanzitutto grazie alla lettura brillante di d’Espinosa, in grado di imprimere alla narrazione un bel ritmo e di guidare la Form – Orchestra Filarmonica Marchigiana in una bella prova, e poi grazie a un cast giovane ma, nel complesso, ottimamente amalgamato. Bravissimo il Papageno di Mattia Olivieri, giovane baritono in costante ascesa che ho trovato maturato e di molto rispetto a un prematuro Dulcamara jesino di qualche anno fa: sicuro vocalmente, disinvolto in scena, credibile come interprete… una performance di tutto rispetto. Bravo anche il Tamino di Matteo Desole, a suo agio tanto nell’assorta estasi dell’aria del ritratto che negli accenti più eroici e risoluti del II Atto, così come convincente è risultata la Pamina dolce e femminile di Kiandra Howarth. Più impostato verso un accento intimista che verso l’ostentazione vocale il Sarastro di Leonard Bernad, come spesso costuma oggi peraltro, mentre la Regina della Notte di Sofia Mchedlishvili si è inserita agevolmente nel solco di soprani leggeri che, dopo una prima aria un po’ sulla difensiva, lasciano scoppiare i fuochi d’artificio nella seconda, a torto ritenuta più difficile, sicuramente più spettacolare (e di sicura presa sul pubblico). Ben assortito il terzetto delle dame (Jinkyung Park, Beatrice Mezzanotte e Sara Rocchi) al pari dei numerosi altri ruoli, tra cui si è distinto il Monostatos di Andrea Giovannini. Quello che, in particolare, ha colpito è stato il vedere un’autentica compagnia, in cui il gioco di squadra di tutti ha permesso al capolavoro mozartiano di svelare, ancora una volta, il suo fascino.
Gabriele Cesaretti