STRAVINSKI Petruška BRUCH Concerto per violino e orchestra in sol minore op. 26 RAVEL La valse violino Vilde Frang Rotterdam Philharmonic Orchestra, direttore Lahav Shani
CIAIKOVSKI Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore op. 23 DVOŘÁK Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo” pianoforte Olli Mustonen Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Ion Marin
RACHMANINOV Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore op. 30 CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica” pianoforte Alexander Romanovsky Filarmonica della Scala, direttore Myung-Whun Chung
HAYDN Sinfonia n. 74 in mi bemolle maggiore Hob.I:74 BEETHOVEN Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in sol maggiore op. 58 MOZART Sinfonia n. 40 in sol minore K 550 English Chamber Orchestra, pianoforte e direttore Christian Zacharias
HAYDN Ouverture da “L’isola disabitata”; Concerto per pianoforte e orchestra n. 11 in re maggiore Hob.XVIII:11; Sinfonia n. 88 in sol maggiore Hob.I:88 MENDELSSOHN Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in sol minore op. 25; Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana” Chamber Orchestra of Europe, pianoforte e direttore András Schiff
Verona, Teatro Filarmonico, 5 settembre-8 ottobre 2019
La stagione settembrina veronese “Il Settembre dell’Accademia 2019”, organizzata dall’Accademia Filarmonica di Verona e giunta alla ventottesima edizione, svela ogni anno sorprese e gioielli preziosi, appoggiandosi a orchestre in tournée per una rassegna unica, sostenuta coi cospicui proventi di gestione del Teatro Filarmonico in un investimento culturale virtuoso e lodevole. Uno spaccato internazionale che in otto appuntamenti ha offerto quest’anno molto spazio a concerti solistici, e all’Europa in tutte o quasi le sue declinazioni geografiche (Rotterdam Philharmonic, Orchestra di San Pietroburgo, Orchestra Nazionale di Spagna, English Chamber Orchestra, Finnish Radio Symphony), accanto alla Filarmonica della Scala e all’orchestra veronese dell’Arena, diretta dal veneziano Francesco Ommassini. L’opportunità di avere vicino orchestre lontane è imperdibile. Grazie a questa rassegna sono infatti passate a Verona molte delle compagini più note al mondo, e i confronti fra diversi approcci al repertorio anche più celebre, specie rispetto al nostro modo di affrontarlo, suscitano curiosità, approfondimenti, voglia di riscoprire brani poco frequentati, anche perplessità.
La Rotterdam Philharmonic suona indubbiamente benissimo, ma se si dice che non esistono cattive orchestre ma cattivi direttori, ovvero che quel modo di suonare rispecchia inevitabilmente chi sta dirigendo, il giovane Lahav Shani non convince per le idee e le scelte. Sicurezza e memoria impeccabili, formazione berlinese, ma monotonia nel gesto e nelle sonorità che appiattiscono i complessi percorsi di Petruška o frenano le magie di La valse. Vilde Frang tesse un bel disegno, impeccabile al violino, ma non ci fa saltare sulla sedia col Concerto di Bruch op. 26, enunciato con dovizia di particolari. Migliori entrambi nel delicato fuoriprogramma raramente proposto, con Shani al pianoforte: la canzone Estrellita di Manuel Ponce nella trascrizione di Heifetz.
Olli Mustonen è un artista fulminante, che si butta nel celeberrimo Concerto di Ciaikovski senza freni, talvolta impreciso e scivoloso al punto da preoccupare gli ascoltatori, ma ha una propria visione convincente e appassionata che riesce soprattutto a tenere sospesa e unita in una grande arcata una pagina monumentale. L’atteggiamento, comunque autorevole e da pianista sempre autentico, è anti virtuosistico, e ci fa dimenticare almeno per un po’ le esecuzioni meramente acrobatiche di certi premiati vincitori di concorso. L’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo sembra conoscere a memoria il pezzo, ma la direzione di Ion Marin lo trascina con burocratica indifferenza, e il Nuovo mondo di Dvořák scompare stranamente in una bolla di sapone. Doveva esserci Yuri Temirkanov, assente per malattia. Peccato.
Saliamo ai piani alti con la bacchetta di Myung-Whun Chung, una lezione sulla direzione d’orchestra e su come lavorare con un solista, in stretto affiatamento, senza mai prevaricarlo, anzi, in una semplicità di vedute disarmante dove tutto è iperlegato e fraseggiato. Dalla vittoria al Busoni, Alexander Romanovsky ha approfondito al pianoforte la profondità del suono e della dizione, anche se muovendosi in modo piuttosto ordinario nelle scelte interpretative, persino in questo ennesimo Terzo di Rachmaninov. Nella Patetica di Ciaikovski Chung fa sgorgare come un fiume in piena la morbidezza delle articolazioni e del cantabile, il suo flusso naturale. La tensione sale fra escursioni estreme, ma la leggerezza del terzo movimento ne rivela il congegno perfetto, interiorità e commozione del finale non escono mai fuori dalle righe. Memorabile.
Usciamo invece piuttosto perplessi dal concerto di Christian Zacharias, pianista che a Verona perdeva alcune sue identità nel presentarsi simultaneamente come direttore e solista, come se le energie non trovassero una direzione chiara. C’è indubbiamente un approccio calibrato al classicismo viennese, che esce sicuramente dalle routine, ma non ci fa innamorare di contrasti e fraseggi, di novità nelle strutture e nelle armonie. Si fatica a trovare una vera differenza tra Haydn e Mozart. Persino la celeberrima K 550 si sfoca, senza lasciare emergere la sua intrinseca e inquietante modernità. Il Concerto n. 4 di Beethoven è sì difficile, ma si consuma in visioni prevedibili e poco interessanti.
András Schiff ha chiuso la stagione proponendosi anche a Verona come solista-direttore per programmi impervi, dove la direzione d’orchestra effettiva spicca purtroppo poco, mentre brilla un pianismo apollineo, che sembra uscito da una miniera d’oro, vista la vastità del suo repertorio. Si aprono subito scenari e mondi nuovi nel Concerto di Haydn per pianoforte, dove Schiff rivela un raro senso di libertà rivelatrice, una delle sue prerogative, mostrando rapporti chiarissimi tra rapide articolazioni ed escursioni cantabili. È raro poi sentire i Concerti di Mendelssohn per pianoforte, e Schiff affronta il primo come bere un bicchier d’acqua, pedale all’osso, composta asciuttezza fra slanci appassionati, in un equilibrio esemplare tra Romanticismo e Classicismo che evita impulsi Bidermeier ed estremismi virtuosistici, tessendo un dialogo assolutamente cameristico nell’Andante. La Chamber Orchestra of Europe mostra un livello altissimo fin da subito con l’ouverture dall’Isola disabitata di Haydn, e i fiati si sposano con gli archi in un unico suono nella Sinfonia n. 88 di Haydn. Dire che vi sia un affiatamento elevato sarebbe riduttivo: c’è molto di più, un’intesa totale sui modi per realizzare tutto, su come intendere stile e prassi.
Applausi sempre calorosissimi.
Mirko Schipilliti