SCHUMANN Quintetto in MI bemolle op. 44 BEETHOVEN Settimino in MI op. 20 violini Francesco Manara e Daniele Pascoletti viola Simonide Braconi violoncello Massimo Polidori clarinetto Mauro Ferrando fagotto Valentino Zucchiatti corno Jorge Monte de Fez contrabbasso Giuseppe Ettorre pianoforte Maurizio Baglini
Milano, Teatro alla Scala, 18 maggio 2015
Il concerto pomeridiano dello scorso 18 maggio con il Quartetto d’Archi della Scala è stato per alcuni una sorta di aperitivo in musica in attesa dell’evento del giorno, il debutto scaligero di Maria João Pires, ospite in serata nel Quarto concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven. Un aperitivo piacevole, anche se meno coinvolgente di quanto ci aspettavamo. È vero che in un appuntamento del cartellone riservato a giovani e anziani – silenzioso e attento il pubblico in sala – gli artisti salgono sul palcoscenico più rilassati rispetto a quanto accade in un concerto serale; è anche vero, però, che il Quartetto d’archi della Scala non possiede né il colore timbrico né l’amalgama sonoro ideali per il Quintetto op. 44 di Schumann, affrontato con l’ottimo Maurizio Baglini al pianoforte.
Il fraseggio era comunque ben condotto e si respirava l’intimità di una pagina che è schumanniana in ogni sua piega. Anzi, qua e là traspariva un certo languore, per esempio nell’attacco del secondo movimento, che comunque nelle esecuzioni dei quartetti di formazione tedesca appare più scuro nel timbro e più drammaticamente teso nel fraseggio. Qua e là, si è detto, perché a conti fatti il tono dominante dell’interpretazione era la brillantezza, con uno Scherzo ben tratteggiato nei suoi contorni ed un finale contraddistinto da una marcata verve ritmica, anche in virtù dell’impulso di uno scalpitante Baglini alla tastiera.
Nel secondo tempo si sono aggiunte altre prime parti dell’orchestra scaligera per affrontare il Settimino per antonomasia del repertorio, quello di Beethoven. Gli esiti sono stati decisamente più interessanti, perché in una pagina così solare e delicata, la cui cantabilità è di chiara impronta operistica, gli orchestrali della Scala si trovavano nel loro abituale orizzonte sonoro, mostrando, fin dalle prime battute, di essere a loro agio, in una lettura agile e frizzante. Del resto musicisti abituati a frequentare l’opera tutti i giorni con il Settimino vanno a nozze. Era da apprezzare l’amabile e sbarazzina grazia del fraseggio del primo violino, al quale Beethoven affida gran parte delle melodie, mentre il clarinetto di Mauro Ferrando tratteggiava in modo incantevole, nel secondo movimento, una melodia che sembra venire direttamente da un’opera di Gluck. Al finale, apparso un poco teso, difettavano sprezzatura e leggerezza, però l’Andante con variazioni, lo Scherzo e soprattutto il Menuetto, frizzante come uno champagne appena stappato, sono stati pregevoli.
Luca Segalla