VERDI Macbeth M. Brück, T. Serjan, W. Zhang, P. Breslik, A. Hernandez, I. Rusko, D. Pkhaladze, E. Anstine; Chor und Zusatzchor der Oper Zürich, Statistenverein am Opernahus Zürich, Philarmonia Zürich, direttore Teodor Currentzis regia Barrie Kosky scene e luci Klaus Grünberg costumi Klaus Bruns
Zurigo, Opernhaus, 6 aprile 2016
Macbeth come non l’abbiamo mai sentito. Per gli impasti strumentali insoliti; per le pause prolungate; per l’agogica ricercatissima; per l’assenza di vibrato in molti passaggi; per la tensione estrema che pervade l’opera lungo tutto l’arco del suo svolgimento. Nessuna concessione alla bellezza del suono: alle tipiche espansioni melodiche verdiane non viene mai dato pieno sfogo; spesso, anzi, vengono messi in evidenza i commenti sarcastici dei legni, come a voler ironizzare sulle tragiche vicende che scorrono davanti a nostri occhi. Insomma: Teodor Currentzis rivisita completamente Macbeth (in parte anche rispetto alla sua stessa, geniale versione con la regia di Tcherniakov, immortalata in un video Bel Air) e ci offre un Verdi scabro e modernissimo, scevro da qualsiasi compiacimento melodrammatico, caratterizzato da suoni singolari, spesso aspri e ruvidi anche per quanto concerne le voci; come, del resto, esigeva lo stesso Verdi. Ed è proprio questo il punto: Currentzis non inventa nulla, ma si limita a “sgrassare” la partitura dalle incrostazioni di certa prassi esecutiva, restituendoci un Macbeth scarnificato e nuovissimo, eppure assolutamente rispettoso delle intenzioni del compositore. Inutile cercare nelle voci di Markus Brück e di Tatiana Serjan timbro morbido e rotondità di emissione: valutati con il metro del vociofilo, destano entrambi più di una perplessità. Cionondimeno, la straordinaria immedesimazione scenica nei personaggi di Macbeth e della Lady è tale da far passare in secondo piano le mende vocali. Mai come in questa circostanza i due coniugi ci sono parsi ad un tempo ripugnanti e umani, terribili e fragili, squallidi e tormentati.
Macbeth come non l’abbiamo mai visto. La scena è una lunghissima prospettiva nera che si perde nel buio del palcoscenico. Un’unica lampada illumina la parte centrale del proscenio, creando una sorta di gabbia di luce dove ha luogo quasi tutta la vicenda. Nessun arredo, eccezion fatta per due sedie. Difficile immaginare un quadro scenico più spoglio. Barrie Kosky fa del capolavoro verdiano uno psicodramma da camera, incentrato esclusivamente sulla coppia Macbeth-Lady, relegando in secondo piano tutti gli altri personaggi e portando così alle estreme conseguenze la rilettura verdiana della fonte di Shakespeare. Il dramma, tutto interiore, nasce nella mente dei due protagonisti e si alimenta delle loro fantasie, paure, allucinazioni; il confine tra sogno e realtà, tra pensiero razionale e follia, è labile. Le streghe, i sicari, gli invitati al banchetto e le apparizioni altro non sono che voci che affiorano dall’oscurità della scena. In questo teatro di voci senza corpo, di ombre e di paranoia, una delle poche concessioni visive – per così dire – è un gruppo di attori, uomini, donne ed ermafroditi privi di costumi, visibili solo in alcuni momenti dello spettacolo, a formare una sorta di entità unica: surreale ma efficace rappresentazione delle “streghe” come creature, al tempo stesso, reali e irreali, virili e muliebri, viventi e morte; raramente la domanda di Banco, che chiede alle streghe se siano “di questo mondo o d’altra regione”, è parsa così pertinente. Un altro elemento simbolico visibile è rappresentato dai corvi – vivi, morti o ridotti ad un semplice ammasso di piume – che rappresentano l’oscurità, la sventura, la morte. Nell’ambito di questa “danza macabra” – così la definisce il regista stesso nelle note del programma di sala – trova posto anche l’amore tra i due coniugi: non un amore romantico, è ovvio, ma piuttosto una simbiosi psicotica che li accompagna fin nel fondo dell’abisso. A questo proposito, il paragone con i coniugi Ceauşescu – sempre farina del sacco di Barrie Kosky – pare davvero azzeccato. Spettacolo nel complesso ostico ma molto stimolante, valorizzato al massimo dalla singolare esecuzione musicale e dalla incondizionata adesione dei cantanti al progetto interpretativo.
Paolo di Felice