VIVALDI Juditha Triumphans S. Prina, M. Carsana, F. Ascioti, S. Bar, F. Moi; Orchestra Auser Musici, Coro Archè, direttore Carlo Ipata regia Deda Cristina Colonna
Cremona, Teatro “Amilcare Ponchielli”, 20 ottobre 2023
La nuova stagione operistica del “Ponchielli” di Cremona annovera all’interno del proprio variegato carnet anche Juditha Triumphans di Antonio Vivaldi (proposta in serata e matinée il 20 e il 22 ottobre). Per i nostri lettori abbiamo seguito lo spettacolo serale dell’Oratorio sacro militare in lingua latina (libretto di Giacomo Cassetti), da tempo “sdoganato” – anche perché totalmente privo dei recitativi affidati di norma a un historicus, quindi a un Testo narrante – così da proporsi senza remore in una stagione lirica di tutto rispetto. Protagonisti della “sacra rappresentazione” l’Orchestra Auser Musici e il Coro Archè, diretti da Carlo Ipata. Il selezionato pubblico – con buona pace, edotto dal tipo di messa in scena cui avrebbero assistito – ha sicuramente apprezzato l’intera sonorità al femminile (non solo gli interpreti dei personaggi, ma anche il coro), non meravigliandosi, dal momento che Vivaldi, come ben sanno gli addetti ai lavori, ebbe a destreggiarsi agevolmente con le allieve (strumentiste e cantanti) del Pio Istituto della Pietà di Venezia.
La prima donna, nel ruolo del titolo, il contralto Sonia Prina, si è confermata interprete ferratissima del repertorio barocco, capace di imprimere sfumature personali e musicalissime al tipo di scrittura e all’affetto delle diverse arie vivaldiane, di volta in volta, affrontate. Che meraviglia Veni, me sequere – aria dolcissima e lamentevole, con delicati richiami ornitologici – in cui alla languida morbidezza della linea vocale, compenetrava l’idialliaco concertato dello chalumeau, all’italiana salmoè (strumento solista dialogante in scena accanto a Juditha). Sulla stessa china si cita, sempre in favore di Juditha, l’aria moraleggiante con mandolino concertato (strumento solista in scena) Transit aetas, in cui la mancanza del basso fa il paio con la mancanza del fondamento. Circoscritta all’affetto amoroso, dunque ancora placida, è la splendida aria di Oloferne, Noli o cara te adorantis, cui al colore contraltile della brava Francesca Ascioti si è unito il dialogo idealizzato di oboe e organo obbligati. Naturalmente tutte le arie con i “da capo”, concertate o accompagnate che fossero, hanno ricevuto una ripresa variata, pur senza sovrabbondanti “colpi di teatro” o pseudo “sprezzature”, dai contorni spesso spigolosi o sopra le righe. Come non citare a tal riguardo le furiose, guerresche o muscolari performances di Abra (Miriam Carsana), Non ita reducem progeniem noto; di Vagaus (Shakèd Bar), Armate face e di Ozias (Federica Moi), Gaude felix Bethulia. Le compagini strumentali e corali – non proprio in pieno spolvero sonoro e sincrono, soprattutto nella prima parte dell’opera – hanno dato il meglio nella Pars altera, sicuramente la più interessante dal punto di vista drammaturgico. La sobria regia di Deda Cristina Colonna ha ambientato la vicenda in un passato senza tempo, non necessariamente antico o settecentesco, ciò in virtù, ma non solo, della divisa rossa presa a prestito dalle “figlie di coro” per cui Vivaldi ha composto, si direbbe di getto, se non addirittura a valanga, durante la sua non breve esistenza. Il plauso generale all’intera “macchina teatrale” ha decretato un sobrio successo per la prima vivaldiana in territorio cremonese.
Michele Bosio
Foto: J. Diego Bianchi