ROSSINI La Cenerentola P. Adaini, M. Mancini, C. Tirotta, G. Toia, P. Calvache, T. Ugrekhelidze, G. Nanni; Coro del Teatro della Fortuna, Orchestra Sinfonica G. Rossini, direttore Andrea Foti regia Matteo Anselmi scene Lorenzo Maria Mazzoletti costumi Viola Sartoretto luci Silvia Vacca
Fondazione Rete Lirica delle Marche, Fano, Teatro della Fortuna, 3 febbraio 2024
Una Cenerentola fresca e giovane quella con cui la Rete Lirica delle Marche, omaggiando Rossini e facendo partire la serie di recite al Teatro della Fortuna di Fano, fornisce un contributo all’anno di Pesaro Capitale della Cultura 2024; se le due cittadine, distanti pochissimi km, amano spesso indulgere in battute di rivalità, in questo spettacolo sono state invece assai vicine e non solo geograficamente, dato che proprio dal Rossini Opera Festival e dall’Accademia Musicale “Bernardo De Muro” proviene l’agile allestimento di Matteo Anselmi, che legge la vicenda come un sogno che la protagonista, evidentemente bullizzata e insoddisfatta della sua vita, effettua nel mondo dei libri e delle fiabe. Libri e fiabe sono quindi al centro della scena unica, in cui la regia si innesta con eleganza e garbati tocchi ironici debitori del mai dimenticato spettacolo di Jean Pierre Ponnelle (ad esempio l’utilizzo della sedia nel duetto dei buffi al II Atto) e racconta la vicenda con lieve ironia; peccato solo per non aver sviluppato appieno le potenzialità dell’enorme volume praticabile e aperto posto al centro del palco, nel corso dello spettacolo, così come è invece stato fatto nel Finale I (ma solo lì). Musicalmente le cose sono andate abbastanza bene, soprattutto per merito di una compagnia di canto ben affiatata e di una direzione molto precisa e musicale; il I Atto, a onor del vero, è risultato un po’ troppo ingessato e quasi compassato, sia nella bacchetta di Andrea Foti che nella compagnia di canto ma, dopo l’intervallo, la tensione è sembrata svanire e tutti sono sembrati divertirsi di più, sciogliendosi tanto nel fraseggio che nell’esecuzione. Bene, quindi, la direzione di Foti, che ha proposto una lettura praticamente integrale (pochissimi i tagli nei recitativi) dell’opera, guidando la partitura con equilibrio e attenzione ai dettagli. Bene anche il cast vocale, in cui spiccava il collaudato Ramiro di Pietro Adaini, ormai padrone del ruolo, che affronta con variazioni disinvolte e spettacolari. Al suo fianco si è ammirato il velluto malinconico di Chiara Tirotta, Angelina malinconica e mesta come si conviene, precisa nella coloratura e attenta all’espressione, cui manca solo quell’esperienza in grado di rendere meno costante il colore di nostalgia che, se applicato all’intera opera, risulta troppo uniforme: i momenti in cui la coloratura da “grazia” diventa “di forza” (l’ingresso a palazzo, il Finale II) hanno infatti visto l’esecutrice sempre attenta e precisa, ma un po’ carente di quell’orgiastica sensazione da “senza rete”, che è un po’ il segreto della virtuosa rossiniana. Bene lo spiritoso Dandini di Matteo Mancini, cui manca un po’ di estensione in basso per il ruolo (ma, saggiamente, il giovane artista non forza) e che in scena è simpatico, estroso e vivace, al pari del giovanile Don Magnifico di Giuseppe Toia, che con l’esperienza potrà affinare un sillabato di già pregevole nitidezza. Spigliate e disinvolte comme il faut le sorellastre di Patricia Calvache (Clorinda) e Tamar Ugrekhelidze (Tisbe) mentre l’Alidoro di Giacomo Nanni esce con onore, ma anche qualche affanno, dall’arduo cimento costituito dall’improba e splendida “Là del ciel”, ormai entrata in pianta stabile nelle esecuzioni dell’opera (ma, ogni tanto, farebbe piacere ascoltare anche l’aria di Luca Agolini “Vasto teatro è il mondo”, tanto più in una programmazione effettuata a ridosso del celebre Carnevale di Fano). Pubblico numeroso, caloroso e attento, prodigo di meritati applausi, al termine, per tutti gli artefici della compagnia.
Gabriele Cesaretti