IVES The Unanswered Question MAHLER Sinfonia n. 5 in do diesis Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, direttore Robert Treviño
Milano, Auditorium, 4 novembre 2023
Era affollato di pubblico l’Auditorium di Milano nel tardo pomeriggio di sabato 4 novembre per la Quinta sinfonia mahleriana con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, guidata sul podio dal suo Direttore ospite principale Robert Treviño. Il concerto rientrava nel cartellone del “Festival Mahler” organizzato in grande pompa, con l’ospitalità delle più importanti istituzioni sinfoniche italiane, tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre dall’Orchestra Sinfonica di Milano per festeggiare il 30° anniversario di fondazione e il suo successo – alla fine sono arrivati applausi entusiasti – testimonia almeno tre cose: il favore che la musica di Mahler continua a riscuotere presso gli appassionati, l’affetto dei Milanesi per l’orchestra della Città e le sue iniziative e infine la loro voglia di musica, almeno nello spazio dell’Auditorium, a dispetto della generale crisi di pubblico innescata dalle chiusure del periodo pandemico.
Treviño ha fatto precedere la Quinta mahleriana dalla misteriosa The Unanswered Question di Charles Ives, la quale eseguita da sola rischia di sembrare un oggetto sonoro sospeso nel nulla ma come introduzione a un altro brano riesce ad accendere la fantasia del pubblico e degli interpreti. Oltretutto la fanfara che la percorre da capo a fondo (molto suggestivo, all’Auditorium, l’effetto della tromba e del quintetto di flauti collocati fuori scena) entra bene in risonanza con l’inizio della Quinta, della quale è praticamente contemporanea per quanto sia da essa lontanissima nel linguaggio.
A Milano sono bastate le prime battute della piccola pagina di Ives per capire che l’Orchestra Rai fosse in serata di grazia, anche perché sul podio Robert Treviño ha saputo ben bilanciare nei pianissimi l’amalgama timbrico degli archi, mentre la tromba solista era incisiva ma senza sbalzare troppo in primo piano, evitando il così rischio di alterare gli equilibri dinamici dell’insieme. Le prime battute della Quinta mahleriana, invece, dove la fanfara della tromba riprende un passaggio della Quarta sinfonia del compositore boemo rimandando nel contempo al celebre incipit della Quinta beethoveniana (con la differenza che in Beethoven il tema del “destino che bussa alla porta” ha una connotazione eroica del tutto assente nella greve marcia funebre che apre la Quinta di Mahler), hanno subito mostrato che l’approccio di Treviño era nel segno della tensione drammatica più che della rassegnazione. Il direttore americano ha optato per un fraseggio mosso e nervoso e a tratti perfino spigoloso, senza comunque sacrificare del tutto i languori postromantici di cui la Quinta letteralmente gronda, staccando tempi piuttosto rapidi e rinunciando a mettere in rilievo più di tanto – penso in particolare al terzo movimento, uno Scherzo su un metro danzante di 3/4 – la flessuosità tutta viennese del fraseggio che di Mahler è comunque componente non secondaria.
Anche il celebre quarto movimento, l’Adagietto per arpa e archi, è scivolato via senza indugi in un candore decisamente insolito, come se Treviño avesse voluto liberarlo da un eccesso di sentimentalismo che certamente è il limite di questa pagina, ma che a ben vedere è anche la ragione del suo fascino. Siamo molto lontani, in questa prospettiva, dall’uso che ne fece Luchino Visconti nel film Morte a Venezia, perché l’interpretazione ascoltata all’Auditorium era il frutto di una concentrazione espressiva finalizzata a togliere piuttosto che ad aggiungere. In tutta la sinfonia, del resto, il canto era quasi sempre alleggerito dal peso dei glissandi e dei rallentandi e nei due movimenti esterni venivano lasciate scoperte le nervature del ritmo; in particolare Treviño ha tratteggiato il Rondo conclusivo con asciutta precisione e senza inutili pompe sonore, anzi mettendone sempre ben in rilievo la complessa trama nei fortissimi come nei pianissimi (la fuga è stata nitida e incisiva, senza sbavature e anche senza aloni sonori). In questo il direttore americano è stato molto aiutato dall’acustica di un Auditorium il quale – non ci stancheremo di ripeterlo – è un gioiello per gli occhi ma soprattutto è un gioiello per le orecchie, perché i suoni arrivano al pubblico sempre puliti e rotondi, i timbri sono ben bilanciati, le dinamiche restano equilibrate dal pianissimo fino al fortissimo con tre “F” e mai si avvertono durezze nelle sonorità. Certo, per poter eseguire in modo tanto trasparente e preciso un partitura così labirintica e densa di contrappunto un direttore non soltanto deve avere delle idee chiare ma deve anche avere a disposizione un’orchestra compatta, precisa e reattiva, capace di seguirlo senza esitazioni: in questa occasione l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si è mostrata assolutamente all’altezza del compito.
Luca Segalla
Foto: Angelica Concari