LEHÁR La vedova allegra B. Praticò, M.L. Jacobellis, L. Caimi, E. Balbo, L. Sekgapane, S. Consolini, M. Secci, F. Musinu, F. Mastrobuono, E. Zara, L. Rotili; Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari, direttore Giuseppe Finzi regia Blas Roca Rey scene Antonella Conte costumi Marco Nateri
Cagliari, Parco della Musica, 16 giugno 2021
Adorno la considerava — e non era un complimento — musica leggera, deplorandone la dimensione vaporosa. Ma La vedova allegra di Franz Lehár è così, frivola e senza apparenza di impegno, almeno per il pubblico. Non stupisce pertanto la scelta del Teatro Lirico di Cagliari di inaugurare Classicalparco 2021 con l’operetta di Lehár, quintessenza del divertissement, che attira da sempre gli spettatori e ha ottenuto un sostanzioso successo anche in questa occasione. Stupisce volutamente, invece, il nuovo allestimento firmato alla regia da Blas Roca Rey, con la direzione musicale di Giuseppe Finzi. Il celebre attore, al suo debutto a Cagliari, ha preferito evitare una scenografia tradizionale e ha trasformato il palcoscenico nel tendone di un trasgressivo circo nella Parigi della Belle Époque. Un’idea fantasiosa, che ha consentito l’avvicendamento di domatori e acrobati, trapezisti e giocolieri, grisettes e addetti all’ambasciata sul palco del Parco della musica di Cagliari. Spazio giustamente enfatizzato dalle scene e dalle luci di Antonella Conte e Andrea Ledda, dai variopinti costumi di Marco Nateri e dalle coreografie di Luigia Frattaroli.
In questa costruzione registica sfuma ovviamente l’atmosfera straniante dell’Austria felix a un passo dall’abisso della Grande Guerra, quella che ha spinto Lehár a mettere in musica la vicenda del regno del Pontevedro (assonanza con Montenegro) che dipende dal patrimonio di una mutevole vedova. Per cui, la pur irriverente regia di Blas Roca Rey si deve districare senza i consueti punti di riferimento, tra corna vere o presunte e feste all’ambasciata, in un autentico tourbillon circense.
Se anche nella Vedova non mancano Galop, Marce e Mazurche, la cifra dominante è quella del Valzer, evocato come momento di incantevole abbandono. La concertazione di Giuseppe Finzi si è rivelata impeccabile e raffinata, ben sostenuta dall’Orchestra e dal Coro del Lirico nonostante le normative di sicurezza, risolte con inventiva: il palcoscenico quest’anno è affiancato da un’estensione laterale per gli artisti del coro e una torre di riporto video è stata posta frontalmente al palco aggiuntivo.
Ben centrato vocalmente il cast, imperniato sull’esperienza di Bruno Praticò (Barone Zeta) e di Gennaro Cannavacciuolo (Njegus), dinamici ed efficaci, i più disinvolti in scena. Vocalità interessanti e corpose quelle di Elisa Balbo (Hanna Glawary) e Leonardo Caimi (il conte Danilowitch) e prova convincente per la coppia costituita da Maria Laura Iacobellis (Valencienne) e Levy Sekgapane (Rossillon). Persuasive le prove del resto del cast: Stefano Consolini (Cascada), Mauro Secci (De St.Brioche), Francesco Musinu (Bogdanowitsch), Fulvia Mastrobuono (Sylviane), Enrico Zara (Kromow), Lara Rotili (Olga), Andrea Schifaudo (Pritschitsch) e Federica Giansanti (Praškowia), con un plauso finale alle vivaci artiste del coro (Barbara Crisponi, Beatrice Murtas, Graziella Ortu, Francesca Zanatta, Caterina D’Angelo, Luana Spinola), che hanno vestito i panni delle grisettes.
Myriam Quaquero
Foto: Priamo Tolu