BEETHOVEN Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”; Sinfonia n.7 in la maggiore op. 92 pianoforte Gloria Campaner Orchestra Canova, direttore Enrico Saverio Pagano
Roma, Istituzione Universitaria dei Concerti, Aula Magna dell’Università La Sapienza, 2 ottobre 2021
L’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) ha inaugurato la 77ma stagione il 30 settembre con due capolavori di Beethoven affidati all’interpretazione della pluripremiata pianista Gloria Campaner e dell’Orchestra Canova diretta dal 26enne Enrico Saverio Pagano. L’appuntamento segna anche l’inizio di un periodo in residenza alla IUC della orchestra e del suo giovane direttore. A ragione sia delle restrizioni dovute alla pandemia sia della richiesta di biglietti, il concerto è stato replicato tre volte, ossia anche l’1 ed il 2 ottobre. L’Orchestra Canova è una recentissima formazione, fondata nel 2014: la IUC intende “adottarla” per dare il via ad un progetto in residence per le prossime stagioni. Sulla base di questo concerto ritengo che sarebbe un ottimo acquisto per la IUC. L’Orchestra Canova non è una formazione giovanile, né un laboratorio per studenti, ma una nuova realtà professionale che ha già mosso i primi passi con risultati eccellenti, di cui riconosciamo l’alto livello artistico e che merita di essere concretamente supportata nel suo percorso di crescita tramite un periodo in residence in una delle maggiori istituzioni musicali della capitale. Del suo progetto paisielliano (anche in CD per Sony) la nostra rivista ha molto parlato.
Una notazione importante: affidare due capolavori di Beethoven ad un’orchestra poco nutrita — sul palco c’erano 33 elementi — è anche e soprattutto una scelta filologica poiché alla fine del Settecento ed all’inizio dell’Ottocento le orchestre avevano molti meno elementi di quelli che le caratterizzarono dagli ultimi decenni dell’Ottocento e per tutto il Novecento. Basti ascoltare, a mero titolo di esempio, l’Imperatore nell’incisione della Philharmonia Orchestra diretta da Herbert von Karajan con Walter Gieseking: l’esecuzione ha una grandiosità colossale degna di essere quasi musica di accompagnamento de I Dieci Comandamenti di Cecil B. De Mille. Ben distante dalle intenzioni del compositore.
Il concerto per pianoforte e orchestra n. 5 fu composto tra il 1809 e il 1810. È detto “Imperatore”, nome assegnatogli in via del tutto casuale; non ha nulla a che vedere con Bonaparte. Il concerto fu dedicato all’arciduca Rodolfo Giovanni d’Asburgo-Lorena. La prima esecuzione avvenne a Lipsia, l’anno successivo a quello della sua stesura definitiva, il 28 novembre 1811, ad opera del pianista Friedrich Schneider e sotto la direzione di Johann Philipp Christian Schulz. A Vienna fu eseguito l’anno dopo, con un pubblico che dimostrò una certa freddezza nei confronti del capolavoro beethoveniano, anche in considerazione della durata dell’esecuzione (circa 40 minuti). Questi dati sono utili a comprendere il contesto della composizione.
Il mi bemolle maggiore, che è la tonalità del concerto e che lo apre con alcune battute impetuose, può essere inteso come perentorio, militaresco, “imperiale”, come nella vecchia esecuzione di Karajan poco prima citata. Con la bacchetta di Enrico Saverio Pagano e l’Orchestra Canova diventa, invece, una esplosione di esuberanza e di esultanza, giovanile. Beethoven aveva 40 anni quando compose il concerto: allora età molto matura, prossima alla senilità, età in cui la baldanza giovanile è filtrata attraverso il ricordo.
Il primo movimento, Allegro, apre con una cadenza che presenta carattere virtuosistico, a cui segue l’esposizione dei temi. Il primo è gioioso e si differenzia nettamente dal secondo tema, interiore ed essenziale. Il percorso armonico in questo primo tempo risulta piuttosto articolato e complesso, così da sottolineare la frequente ricerca da parte di Beethoven di un approfondimento e reinterpretazione delle forme, che fin dalla giovinezza era uso modificare (come dimostrano alcune sonate giovanili e quelle che fanno parte del cosiddetto terzo periodo compositivo di Beethoven). Nell’interpretazione dell’Orchestra Canova, si enfatizza correttamente il passaggio dalla baldanza iniziale al pianissimo dell’ultima parte del movimento quando inizia il dialogo con la pianista.
L’Adagio un poco mosso presenta un tema dalla cantabilità unita alla dolcezza sublime, tipica dei suoi tempi lenti centrali. Il pianoforte non è mero strumento solista, ma appare splendidamente fuso con l’orchestra, che inizialmente accompagna il tema eseguito dal piano e da ultimo lo espone da protagonista. Nella lettura dell’Orchestra Canova e di Gloria Campaner pare si passi dalla esultanza iniziale ad un dialogo sentimentale, quasi sensuale tra solista ed orchestra.
Tramite una discesa cromatica, avviene il collegamento col Rondò finale, che presenta nel tema principale un carattere scintillante e gioioso. La zona centrale diventa una continua proposizione del tema da parte del pianoforte, con accenti particolarmente delicati, a cui segue sempre la risposta piena di energia dell’orchestra. Il dialogo tra pianoforte e orchestra diventa più stretto fino all’arrivo della breve cadenza finale, a cui segue una stringata coda dell’orchestra a chiudere con effetto trascinante il concerto. Applausi calorosissimi e richieste di bis a cui Gloria Campaner ha risposto suonando Per Elisa.
La scrittura della Sinfonia n. 7 iniziò a Teplitz, una città termale in Boemia dove Beethoven seguiva una cura nel 1811, sperando di recuperare il suo udito. La prima esecuzione ebbe luogo l’8 dicembre del 1813 nella sala grande dell’Università di Vienna per un concerto di beneficenza. Richard Wagner in L’opera d’arte dell’avvenire così la descrisse questa sinfonia: “è l’apoteosi della danza: è la danza nella sua suprema essenza, la più beata attuazione del movimento del corpo quasi idealmente concentrato nei suoni. Beethoven nelle sue opere ha portato nella musica il corpo, attuando la fusione tra corpo e mente”. Il ritmo è l’elemento principale dei quattro movimenti.
Nell’esecuzione dell’Orchestra Canova, la danza è sempre presente. Nel primo movimento (poco sostenuto, vivace) abbiamo echi di danze paesane (non per nulla la Settima segue di poco la Sesta, la Pastorale, molto descrittiva). Nel secondo (allegretto), Pagano e l’orchestra mettono bene in evidenza il passaggio al “cantabile”. Nel terzo (presto) l’orchestra gioca sul virtuosismo e sul ritornello che echeggia un canto popolare austriaco. Nel quarto e ultimo (allegro con brio), la danza diventa un motivo trionfale introdotto dai fiati sullo scandire degli archi.
A conclusione non applausi, ma ovazioni e richieste di bis, a cui Pagano e l’orchestra hanno replicato con un’impetuosa marcia di Rameau. Ma il vero coup de théâtre della serata è stato Enrico Saverio Pagano che dirige con le braccia larghe e tutto il corpo (come indicato nella frase citata di Wagner) nonché con una passione che si avverte in sala e la contagia. Un vero spettacolo nello spettacolo.
Data la situazione attuale d’incertezza, la IUC ha pubblicato solo la prima parte del cartellone che, da settembre a dicembre 2021, propone 19 concerti. Una programmazione inclusiva dei diversi generi musicali, che ospiterà alcuni tra i migliori solisti ed ensemble della musica classica internazionale come i pianisti Valentina Lisitsa, Martin Helmchen, Lucas Debargue, Andrea Bacchetti, il violinista Sergey Khachatryan, il flautista Emmanuel Pahud, il clavicembalista Trevor Pinnock, The Tallis Scholars, l’Ensemble Novecento e Oltre di Antonio Ballista. Spazio anche ai nuovi talenti, come il violoncellista vincitore Premio Tchaikovsky 2019 e i giovani cantanti allievi della grande Raina Kabaivanska, che terrà un incontro con il pubblico.
Tra le caratteristiche del cartellone, un’insolita vetrina sulla vocalità declinata in stili e periodi diversi, dalla polifonia al virtuosismo barocco, al gala lirico pucciniano, fino al Novecento di Luciano Berio, e alcune serate monografiche dedicate a compositori capisaldi della storia della musica, Josquin Desprez, Stravinski, Saint-Saëns, Morricone, con un omaggio in chiave jazz a Nino Manfredi nel centenario della nascita.
Giuseppe Pennisi
Foto: Federico Priori