GIORDANO Andrea Chénier A. Villari, M.T. Leva, A. Veccia, S. Bloch, A. Palomba; Orchestra Filarmonia Veneta, Coro Arché, direttore Francesco Pasqualetti regia Andrea Cigni scene Dario Gessati costumi Chicca Ruocco luci Fiammetta Baldisserri e Oscar Frosio
Pisa, Teatro Giuseppe Verdi, 25 ottobre 2024.
Apertura di Stagione del teatro Verdi di Pisa con un titolo ormai piuttosto raro nel repertorio dei teatri italiani, Andrea Chénier. In una originale produzione che il teatro pisano ha affrontato con la cooperazione di quelli di Rovigo, Cremona, Pavia, Lucca, Como e Brescia, è stata affidata la regia ad Andrea Cigni, anche sovrintendente a Cremona, e la direzione d’Orchestra a Francesco Pasqualetti, promettente direttore pisano già affermatosi su diversi palcoscenici internazionali. In buca, a sostenerlo, l’Orchestra Filarmonia Veneta e in palcoscenico il Coro Arché istruito da Marco Bargagna.
Intenti, insomma, ambiziosi e impegni complicati per la compagine che, con risultati altalenanti, ha seguito il percorso verista suggerito da Umberto Giordano e tentato di sciogliere i nodi strettissimi cui il compositore leccese ci ha abituati. I tempi della recrudescenza rivoluzionaria segnata da Robespierre e le gratuite violenze di quei giorni vengono restituite da Cigni e dai suoi collaboratori con l’impianto didascalico che ci si aspetta. Buone le luci di Fiammetta Baldisserri e Oscar Frosio, che determinano un palcoscenico quasi sempre infuocato, dove si muovono con chiarezza i protagonisti. L’accorato Angelo Villari indossa i panni di Andrea Chénier, confermando i dubbi esistenziali che il personaggio si porta appresso. E lo fa talmente bene da sottolinearli con un approccio alla vocalità un po’ scomposto, che determina pure degli scivoloni d’intonazione che avremmo preferito non ascoltare. D’altra parte, la misuratissima Maria Teresa Leva disegna una Maddalena precisa e accorata, con filati preziosissimi come la tradizione impone. Bene fanno anche il baritono Angelo Veccia, nel ruolo di Gérard, a volte un po’ sopra le righe, e gli altri comprimari, eccettuata forse Alessandra Palomba, autrice di una prestazione deficitaria specie nei panni della Contessa di Coigny, mentre era più centrata come Madelon.
Lo spettacolo ha evidenziato una mancanza del pubblico giovanile, alla cui presenza il Teatro di Pisa ci aveva invece abituati, e la platea si è distinta per applausi piuttosto tiepidi a tutti gli interpreti, con una maggioranza di consensi tributati a Francesco Pasqualetti che ha saputo restituire, con l’ammirabile impegno dell’Orchestra Filarmonia Veneta, una vera corrispondenza con la partitura, ben esaltata nei suoi ricchi colori orchestrali. Di minor valore il Coro Arché.
Davide Toschi