FAURÉ Pelléas et Mélisande, suite RAVEL Daphnis et Chloé, suite n. 2 DEBUSSY La mer RAVEL La valse Filarmonica della Scala, direttore Myung-whun Chung
Milano, Teatro alla Scala, 3 ottobre 2021
Suite, schizzo sinfonico, poema coreografico, questi i sottotitoli di genere alle pagine proposte nel secondo appuntamento dei Concerti d’autunno scaligeri. Le date di composizione abbracciano uno dei ventenni più vivi e fertili nella storia culturale europea: dal 1898 della Suite di Fauré al 1920 per La valse di Ravel. Epoca nella quale si sono messe in dubbio tutte le strutture sulle quali le arti, per secoli o meno, si erano sorrette con, in alcuni casi, accademica puntigliosità. La volontà di andare oltre, rintracciabile per l’appunto negli stessi sottotitoli, è evidente in maniera del tutto chiara anche all’orecchio meno attento: Fauré accenna, con la sua ineffabile rarefazione e sottigliezza, quella che sarà la rivoluzione di lì a poco in arrivo. Vi è ancora, nella suite dal Pelléas et Mélisande, il senso della frase musicale sorretta da ampio melodiare, pur con accordi sospesi e momenti di raffinata introspezione che troveranno in Debussy un violento e talvolta agghiacciante scandaglio sia della psiche umana che della percezione del reale. Fauré vi si accosta con delicatezza, ritraendo il mistero di Mélisande con tinte forse più vicine a quelle che un poeta quale Gozzano seppe utilizzare nella sua poetica. Ravel e Debussy frantumano la frase musicale, parcellizzano il suono e da brevi intervalli costruiscono un mondo di emozioni dove timbri e ritmo diventano canto e conducono attraverso paesaggi mentali di tale profondità che se ne esce inquieti e sconvolti.
Pare che Toscanini ritenesse quasi sempre insoddisfacente l’esito delle proprie esecuzioni de La mer. Si può azzardare che l’insoddisfazione derivasse dall’ineffabile che diviene musica dove il contrasto (vento e mare, dall’alba a mezzogiorno, gioco d’onde) è parte vibrante del tentativo di definire l’ignoto attraverso dei punti fermi. In tale complessità psicologica, ogni interpretazione pone dubbi e incertezze che necessitano di altrettante reinterpretazioni, probabile fine della caleidoscopica partitura di Debussy, teso sempre alla ricerca dell’insondabile nella vita umana.
In altra direzione Ravel, rivolto verso mondi onirici, rievocati con ossessioni lancinanti (La valse, forse ancor più del celebre Bolero, è il ritratto più spietato della disumanizzazione, dove il ricordo di un’epoca ormai tramontata trasforma i ballerini in automi depersonalizzati), oppure rarefazioni di vibrante tensione, quali si rintracciano nella suite da Daphnis et Chloé.
Myung-whun Chung da sempre frequenta il repertorio francese con la profondità di analisi che gli è propria e la sapienza di non utilizzare timbri generici validi ad ogni uso, ma differenziando ogni compositore e composizione secondo le necessità esecutive che comportano. Fauré ne emerge a cavallo tra un solido tardo Ottocento e l’inquietudine di inizio secolo sopra descritta: splendide le parti solistiche e la tavolozza di impasti in sottofondo, così come il tutti orchestrale sono e ricco, ma mai debordante. Con Ravel, autore a lui del tutto congeniale, si è raggiunto l’apice della serata, soprattutto nel Daphnis et Chloé sorretto da una tensione emotiva e una attenzione al dialogo delle varie sezioni che hanno giustificato l’applauso entusiastico al termine della prima parte del concerto. Medesima urgenza anche ne La valse, dove man mano le tenebre iniziali hanno spalancato un allucinato ballo dai contorni sempre più agghiaccianti.
In bianco e nero La mer, qui Chung spegne ogni contrasto e tende a scomporre il suono, ricreando una atmosfera nebbiosa, inquietante, priva di pathos, quasi fosse una nave alla deriva in un mare oscuro. Lettura di minore impatto emotivo, spiazzante dal punto di vista psicologico, lascia aperti ulteriori dubbi e la curiosità di riflettere su quanto possa essere vitale una partitura così complessa.
La Filarmonica della Scala si avvicina in forma smagliante al quarantesimo anno di fondazione: archi dal vibrato caldo e coinvolgente, ottoni impeccabili nei vari passaggi “scoperti”, fiati sempre pulitissimi e in attento dialogo con gli archi, nonché un tutti eccellente nei momenti dove il virtuosismo è richiesto e necessario.
Partecipazione calorosa del pubblico, con numerose chiamate sia al termine dei singoli brani che alla fine del concerto. La stagione autunnale procede quindi con una programmazione accattivante e di eccellente livello esecutivo, in attesa della presentazione della nuova stagione 2022.
Emanuele Amoroso