VIVALDI Ercole sul Termodonte, Concerto in do maggiore RV 554, Concerto in re maggiore RV 564a, Concerto in sol minore “Per l’orchestra di Dresda” RV 577, Gloria in re maggiore RV 589 soprano Raffaella Milanesi mezzosoprano Ann Hallenberg Coro dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, Europa Galante, direttore Fabio Biondi
Roma, Parco della Musica, Sala S. Cecilia, 3 novembre 2014
Mirabile serata vivaldiana quella che l’Accademia di S. Cecilia ha proposto con il proprio coro e l’Europa Galante diretti da Fabio Biondi, assenti l’Orchestra e Pappano per la tournée in Cina e Giappone. Mirabile, consentiteci, anzitutto a titolo personale. Nell’ascoltare il Concerto per l’orchestra di Dresda o il Gloria, riandavamo con la memoria al Vivaldi delle nostre epoche adolescenziali o poco più. Quando i latori di tal repertorio erano prima I virtuosi di Roma e i Musici, d’adamantina levigatezza sonora, un poco ancien régime in certa lor augusta compassatezza; poi I Solisti Veneti e Scimone, loro a mostrar di Vivaldi la pulsazione ritmica e qualche barlume di colore. O quando il Gloria, versione Casella, risonava grandioso in Piazza del Duomo a Spoleto sotto la fulminea bacchetta di Thomas Schippers. Bello, bellissimo tutto: ma già allora un qualche istinto nascosto ci suggeriva che forse quello non era il vero Vivaldi, che le riscritture della Generazione dell’Ottanta e uno stile “string orchestra” europea o modernamente sinfonico, non ne erano la dimensione autentica. L’arrivo – da Catalogna, da Olanda e da Francia – dei Biondi, dei Dantone, degli Alessandrini ci disse il Vivaldi che aspettavamo: più vicino certo all’immoralismo avventuroso di Casanova e Da Ponte che al moralismo quieto di Parini e Goldoni, più intrigato con le fantasie dei Tiepolo e del Guardi che col realismo del Canaletto e del Longhi, alfiere primo in musica dell’estetica settecentesca – libertina se si vuole – del “piacere”, dell’edonismo sublime che trae ebbrezza orgiastica dal suono e dal ritmo, dal colore e dalla velocità, dall’immaginazione e dalla sensualità. Solo attraverso i calcolati deliri del Prete Rosso sono pensabili Rossini e Paganini. Tutto questo abbiamo ritrovato con gioia – personale appunto e naturalmente critica – nella serata che Biondi e l’Europa Galante hanno con gran cura confezionato per il pubblico romano. Dopo la Sinfonia dall’Ercole sul Termodonte – ove emerge quell’andante in minore che nel sogno arcade insinua brividi erotici – il Concerto RV 554, per violino, oboe, organo, archi e basso continuo, ha fornito intera la misura di dell’estetica di cui si parlava, con quel ludus magistrale dei tre strumenti, che si provocano a vicenda sino ad un’esaltazione reciproca e incontenibile. Così il Concerto per Dresda, con i suoi tre diversi piani concertanti, viene svelato capolavoro tale da rivaleggiare con le speculazioni musicali dei grandi d’Oltralpe. Biondi ha offerto in chiusura un Gloria di grande, serena, tiepolesca ariosità, al quale forse preferiamo la versione più danzante di Alessandrini: ma la bellezza irradiata – grazie anche all’ottimo coro ceciliano – era celestiale. Brave le due soliste, in particolare la Hallenberg, ben nota peraltro (perché allora non affidarle almeno un’aria nella prima parte del concerto?). Formidabili i solisti strumentali e l’Europa Galante nel suo insieme; appena meno smaltato d’un tempo il jeu violinistico pur eccezionale di Biondi stesso. Applausi a non finire e bis.
Maurizio Modugno